Il regolamento 178/2002

30 Novembre 2007 0 Di Pastaria

Parliamo del regolamento n. 178/02/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare. Il regolamento n. 178 del 2002 costituisce la fonte primaria del diritto alimentare europeo moderno e racchiude in un unico testo i diritti ed i doveri di tutti gli operatori del settore alimentare

Lino Vicini

Il Regolamento 178 del 2002 racchiude in sé i principi più importanti del diritto alimentare direttamente applicabili a tutti gli Stati membri dell’Unione Europea e quindi anche al nostro paese.
L’importanza di questo corpus normativo è di assoluto rilievo tanto che non pare azzardato paragonarlo alle norme costituzionali che regolano la maggior parte degli ordinamenti giuridici moderni.
Come è noto la Costituzione della Repubblica Italiana è la legge fondamentale dello Stato che contiene le norme e i principi generali relativi alla sua organizzazione ed al suo funzionamento e vincola tutte le altre leggi al suo rispetto.
Come la Costituzione anche il Regolamento 178/02, naturalmente nell’ambito del suo campo di applicazione, si colloca al vertice della scala gerarchica delle fonti del diritto alimentare.
La similitudine pare corretta e non azzardata anche da un punto di vista teorico infatti come le leggi ordinarie devono adeguarsi ai sovrastanti principi della Costituzione, e non possono essere in contrasto ad essa, così le regole del diritto alimentare devono necessariamente uniformarsi ai dettami contenuti nel Regolamento in questione e non possono contraddirlo.
I principi fondamentali della legislazione alimentare contenuti nel testo del Regolamento 178 «costituiscono un quadro generale di natura orizzontale al quale conformarsi nell’adozione delle misure» ossia rappresentano la cornice delle regole generali nella quale incanalare la futura legislazione alimentare, non solo a livello comunitario ma anche nazionale.

Costituzione e Regolamento 178 si differenziano viceversa per altre caratteristiche tra cui la più importante è quella secondo la quale le norme della Costituzione o di un Trattato costituzionale come quello europeo, hanno una forza superiore alle altre leggi ordinarie e possono essere modificate esclusivamente da norme dello stesso rango (costituzionale) passando attraverso una procedura rafforzata.

Diversamente il Regolamento comunitario che qui interessa può essere modificato dal legislatore europeo semplicemente attraverso una altra disposizione di pari rango normativo, senza passare attraverso una procedura rafforzata di modifica e in assenza di particolari difficoltà come invece accade per la Costituzione italiana o il Trattato Europeo che ha istituito la Comunità Europea.

è quasi scontato che nell’affrontare il vasto tema del diritto alimentare si debbano analizzare in primo luogo le norme generali per poi passare alle regole particolari e di dettaglio come quelle che si occupano di disciplinare la pasta alimentare.

L’importanza del Regolamento 178 deriva pertanto non solo dal fatto che lo stesso si pone come “norma costituzionale” della legislazione degli alimenti ma anche dalla circostanza che il Regolamento stesso racchiude per la prima volta in un unico testo di derivazione comunitaria diritti e doveri di tutti gli operatori del settore alimentare. Non solamente dei produttori ma anche dei soggetti incaricati di eseguire i controlli sui prodotti, nonché degli utenti finali ossia tutti i consumatori.

Lo scopo del Regolamento è principalmente quello di fissare in modo chiaro le regole generali lasciando poi a successive altre disposizioni di attuazione il compito di predisporre in concreto le istruzioni operative degli stessi principi.

Si può ritenere, in altre parole, che tutte le norme speciali in tema di diritto alimentare debbano essere lette alla luce di questo Regolamento.

L’ulteriore funzione che persegue il Regolamento 178 è quello di chiarire in modo assolutamente inequivoco e definitivo i concetti che devono essere applicati nella materia alimentare dai diversi paesi che compongono l’Unione Europea.

La struttura del Regolamento

Il Regolamento, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità Europee del 1 febbraio 2002 e rinvenibile anche sul sito ufficiale Eurolex, è strutturato con un preambolo iniziale e un articolato vero e proprio.

Nel primo sono elencati tutti i sessantasei “considerando” ossia le ragioni che hanno condotto Parlamento e Consiglio dell’Unione Europea alla sua emanazione.

Il Regolamento è costituito da un nutrito numero di articoli, sessantacinque per la precisione, che si dividono in due parti: la prima relativa alla definizione del diritto alimentare, la seconda che si occupa dell’istituzione dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA).

In questo commento ci si occuperà esclusivamente della prima parte relativa ai principi generali della legislazione alimentare lasciando ad un successivo elaborato le diverse funzioni istituzionali dell’Autorità per la Sicurezza Alimentare con sede a Parma. I principi contenuti nella prima parte si propongono di perseguire un più elevato grado di tutela della salute dei consumatori imponendo ai singoli Stati membri l’adozione di criteri uniformi nella valutazione della sicurezza degli alimenti. La preoccupazione del legislatore comunitario è inoltre quella di salvaguardare la libera circolazione delle merci all’interno del mercato europeo salvaguardando le condizioni di concorrenza stabilite nel Trattato. I predetti principi generali anche se aventi carattere universale, devono essere conosciuti ed applicati nella pratica non solo dagli organi di controllo (ASL, NAS, Ispettorato Centrale per il Controllo dei Prodotti Agroalimentari) e dalla Magistratura ma anche dai più piccoli operatori del settore della pasta in quanto immediatamente applicabili alle loro produzioni. Anche i “considerando” devono essere attentamente tenuti in considerazione dai produttori di pasta per cogliere ed interpretare in modo corretto il successivo testo dello stesso Regolamento, consentendo di comprendere le ragioni delle scelte del legislatore europeo.

Gli obiettivi principali ed inderogabili della normativa comune sono rappresentati, come appena detto, dalla libera circolazione di alimenti sicuri e sani nonché dalla garanzia di un livello elevato di tutela della vita e della salute umana.

Tali obiettivi possono essere raggiunti esclusivamente attraverso il ravvicinamento dei concetti, dei principi e delle procedure presenti nelle varie legislazioni nazionali in materia di alimenti.

Per garantire la sicurezza del prodotto finale devono essere tenuti in considerazione tutti gli aspetti della produzione, della trasformazione, del trasporto e distribuzione degli alimenti a partire dalle materie prime (art. 1 comma 3).

 

Le definizioni

Il Regolamento si preoccupa nella prima parte di chiarire cosa debba intendersi per “alimento”.

L’art. 2 lo definisce come «qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato destinato ad essere ingerito, o di cui si preveda ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani».

La definizione positiva viene poi affiancata da una ulteriore precisazione di ciò che non deve comunque essere considerato tale per legge evitando interpretazioni estensive da parte dei singoli operatori nazionali. Non sono ricompresi in tale concetto i mangimi, gli animali vivi, a meno che non siano preparati per l’immissione sul mercato ai fini del consumo umano, i vegetali prima della raccolta, i medicinali ed i cosmetici.

Pare evidente come il concetto di alimento venga individuato in considerazione della destinazione dello stesso, ossia del consumo umano mentre sono esclusi i prodotti destinati all’alimentazione degli animali nonostante il Regolamento si preoccupi di sottoporli ugualmente a pressanti disposizioni così da garantirne la intrinseca sicurezza.

Per venire al prodotto che qui interessa si deve sottolineare come la pasta rientri perfettamente nella definizione comunitaria di alimento contenuta nell’art. 2 del Regolamento in quanto prodotto trasformato (di origine vegetale) destinato ad essere ingerito da esseri umani.

 

La legislazione alimentare e l’impresa alimentare

L’art. 3 predispone a fianco della definizione di alimento gli altri concetti rilevanti tra cui quelle di legislazione alimentare ed impresa alimentare.

La prima viene definita come il complesso «delle leggi, dei regolamenti e delle disposizioni amministrative riguardanti gli alimenti in generale, e la sicurezza degli alimenti in particolare, sia nella Comunità che a livello nazionale». Viene inoltre chiarito come siano «incluse in tale concetto tutte le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti nonché dei mangimi prodotti per gli animali destinati alla produzione alimentare o ad essi somministrati».

L’impresa alimentare è costituita da «ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che svolge una qualsiasi delle attività connesse ad una delle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti». Anche con riguardo alla fornita definizione di impresa alimentare pare che la figura standard di produttore di pasta rientri perfettamente in tale concetto univoco senza possibilità di equivoci.

 

Il concetto di pericolo, rischio, analisi del rischio 

Nell’articolo 3 sono contenute le specificazioni esatte di altre parole utilizzate nel testo del Regolamento; nello stesso si rinvengono numerose importanti definizioni tra cui quelle di rischio, analisi del rischio, valutazione e gestione del rischio nonché pericolo e rintracciabilità.

A ben guardare tali rilevanti concetti contenuti nel Regolamento non rappresentano una reale innovazione perché già contenuti nella Direttiva 93/43/CEE che a suo tempo ha introdotto l’autocontrollo nelle aziende alimentari.

I principi che costituiscono la base del sistema HACCP (Hazard Analisis and Critical Control Points) rappresentano l’approccio scientificamente più corretto ai problemi della sicurezza ed avendo dato buona prova di sé nell’applicazione concreta effettuato delle imprese sono stati elevati a criterio guida fondamentale di tutto il diritto alimentare.

La lettura del Regolamento 178/02 chiarisce che il sistema di analisi del rischio assurge ora a modus operandi generale applicabile a tutta la normativa comunitaria per risolvere i problemi di sicurezza alimentare.

In particolare la normativa alimentare vigente continua ad applicarsi tuttavia imponendosi una interpretazione conforme ai principi generali contenuti nel Regolamento predetto. Il primo termine di cui viene fornito il concetto è quello più difficile da esplicare ossia “rischio”.

Secondo il Regolamento esso deve essere correttamente inteso come «funzione della probabilità e della gravità di un effetto nocivo per la salute, conseguente alla presenza di un pericolo».

Per comprendere il significato di rischio si deve fornire anche il concetto di “pericolo” che deve venire inteso come «agente biologico, chimico o fisico contenuto in un alimento, o condizione in cui un alimento si trova, in grado di provocare un effetto nocivo sulla salute».

Strettamente connesso ai predetti concetti si colloca quello di “analisi del rischio”, contenuto nel successivo art. 6 del Regolamento.

Secondo la definizione tale processo, basato essenzialmente su elementi scientifici, è costituito da tre componenti interconnesse ossia: valutazione, gestione e comunicazione del rischio.

La legislazione alimentare si fonda sull’analisi del rischio al fine di conseguire l’obiettivo generale di garantire un livello elevato di tutela della vita e della salute umana.

Per applicare i predetti concetti alla produzione della pasta è utile fare ricorso ad alcuni esempi chiarificatori. Il rischio, come sopra definito, deve tenere conto di due variabili indipendenti probabilità e gravità dell’effetto nocivo conseguente alla presenza di un pericolo.

Esempi concreti

Così per esempio tratto dall’astrofisica il pericolo che un asteroide precipiti dallo spazio sulla Terra esiste come possibilità teorica, ma ciò nonostante il rischio (concreto) che tale evento disastroso possa verificarsi è nella realtà molto basso, se non addirittura remoto. La probabilità (ridotta) dell’accadimento di tale evento valutata alla luce degli effetti potenziali di danno che potrebbe causare alle attività umane dimostra come il pericolo della caduta dell’asteroide possa essere tranquillamente non tenuto in considerazione nella vita di tutti i giorni.

Per venire ad esempi concreti e più vicini al nostro settore di competenza il rischio della presenza di enterotossina staphilococcica in pasta fresca pare sicuramente più alto della caduta di un meteorite.

La presenza di altri microrganismi o sostanze pericolose come la tossina botulinica che si sviluppa in determinate condizioni in prodotti con assenza di ossigeno è decisamente più difficile da realizzarsi.

Diversamente la contaminazione da microrganismi patogeni aerobi (per esempio Stafilococco aureo o Listeria) può essere favorita dalla mancanza di corrette prassi igieniche di produzione in concreto possibili nelle produzioni pastarie.

Il rischio costituito dall’inquinamento della pasta deve essere così valutato anche nell’ottica del diverso tipo di alimento oggetto di possibile contaminazione (pasta fresca o secca) e alle modalità di consumo delle stesse come il differente tipo di cottura o di utilizzo come cibo.

Va da sé che la presenza di una Salmonella in una pasta secca destinata a lunga cottura non può dare in concreto seri problemi sanitari, stante la nota termolabilità del microrganismo sottoposto alle alte temperature necessarie alla preparazione della stessa pasta per il suo consumo. Discorso diverso se la presenza di Salmonella si rinviene in pasta fresca o precotta destinata ad essere consumata previo modesto e breve riscaldamento.

In quest’ultimo caso il rischio che il consumatore possa ingerire microrganismi patogeni si fa molto più probabile. Il produttore di pasta deve nella sua attività pertanto valutare in modo differenziato i possibili pericoli da tenere in considerazione sulla base del predetto concetto di rischio. Altri elementi di pericolo, al di fuori di quelli sopra citati, possono venire segnalati nella possibile contaminazione da parte di insetti o altri parassiti in confezioni di pasta secca; in questo caso il rischio è quello della insudiciamento o invasione da parassiti dell’alimento che darebbe luogo alla contestazione del reato contravvenzionale di cui all’art. 5 lettera d) della legge 30 aprile 1962 n. 283. Anche tale rischio deve essere valutato e tenuto in considerazione sulla base del principio dell’analisi del rischio in sede di predisposizione di un corretto piano HACCP da parte del produttore l’alimento.

In questo caso il rischio derivante dalla presenza degli insetti deve tenere conto della relativamente alta probabilità che tale inconveniente possa verificarsi durante la produzione piuttosto che durante la commercializzazione della pasta stessa. Pertanto nella produzione e conservazione del prodotto secco devono essere prese in considerazione tutte quelle misure tecnologicamente atte a prevenire ed evitare la possibile aggressione da parte di insetti.

L’analisi del rischio

Per ritornare all’analisi dei concetti generali esplicati dal Regolamento deve essere approfondita la definizione di analisi del rischio.

Con tale concetto viene rappresentato il processo logico costituito da tre componenti interconnesse tra loro: valutazione, gestione e comunicazione del rischio. Come detto l’art. 6 del Regolamento si preoccupa espressamente di precisare come per conseguire l’obiettivo generale di un livello elevato di tutela della vita e della salute umana la legislazione alimentare si deve necessariamente basare sull’analisi del rischio. La valutazione del rischio è fondamentalmente un processo su base scientifica scomponibile in più fasi che deve essere affidata a soggetti dotati di specifiche competenze tecniche. La valutazione del rischio, che deve essere svolta in modo indipendente, obiettivo e trasparente, è ben diversa dalla fase della gestione che viceversa è attribuita ad organi “politici” i quali devono esaminare le alternative d’intervento consultando le parti interessate, tenendo conto di tutti i fattori di rischio attraverso un complesso processo decisionale. I problemi dovuti alla non corretta commistione tra valutazione e gestione del rischio è stata dimostrata in concreto durante la crisi di fiducia dei consumatori seguita alla nota vicenda della “mucca pazza”.

In questa crisi non vi fu una chiara differenziazione di ruolo tra i soggetti politici e quelli tecnici (scienziati) con un conseguente grave difetto di valutazione degli effetti della crisi stessa. La lezione della storia ha così insegnato che i diversi aspetti della valutazione e gestione devono essere tenuti distinti e separati per consentire di non confondere i ruoli e le funzioni dei vari attori. La valutazione del rischio si basa in primo ruolo sull’individuazione del pericolo, sulla sua caratterizzazione, sulla valutazione dell’esposizione al pericolo e caratterizzazione del rischio. La successiva fase della gestione del rischio consiste nell’esaminare le alternative d’intervento consultando le parti interessate, tenendo conto della valutazione del rischio e di altri fattori pertinenti e se necessario, compiendo adeguate scelte di prevenzione e di controllo. A questo proposito appare di considerevole importanza il principio di precauzione.

 

Il principio di precauzione

L’art. 7 del Regolamento contiene un ulteriore fondamentale norma del diritto alimentare mutuato dalla normativa ambientale: il principio di precauzione.

Esso stabilisce che ove «venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute, ma permanga una situazione di incertezza sul piano scientifico, sia possibile adottare le misure provvisorie per garantire un livello elevato di tutela della salute perseguito dalla Comunità europea in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio.

Le misure adottate sono proporzionate e prevedono le sole restrizioni necessarie al commercio che siano necessarie per raggiungere l’elevato livello di tutela della salute perseguito nella Comunità, tenendo conto della realizzabilità tecnica ed economica e di altri aspetti se pertinenti». Le misure sono poi «riesaminate entro un periodo di tempo ragionevole a seconda della natura del rischio per la vita o per la salute individuato e del tipo di informazioni scientifiche necessarie per risolvere la situazione di incertezza scientifica e per realizzare una valutazione del rischio più esauriente».

Secondo alcuni commentatori il concetto sarebbe innovativo, in realtà si tratta di un principio antichissimo che si affianca a quello di prevenzione che si afferma definitivamente con le scoperte e successive teorie scientifiche formulate da Luis Pasteur.

Come è noto nel 1860 lo scienziato francese dimostra l’esistenza di un nesso eziologico tra microrganismi patogeni presenti in sostanze alimentari (latte) e lo sviluppo di malattie (tubercolosi) a seguito del consumo delle stesse.

Nel 1889 il legislatore italiano recepisce nella legislazione penale (codice Zanardelli) questa fondamentale scoperta creando per la prima volta nella sua storia il delitto di detenzione di sostanze destinate all’alimentazione, non contraffatte né adulterate, ma pericolose alla salute pubblica (art. 320 codice penale). La norma incriminatrice predetta, successivamente trasfusa, pressoché immutata, nel 1930 dal legislatore nell’art. 444 del codice penale attualmente vigente, costituisce un classico esempio di principio di prevenzione applicato al diritto penale.

Il principio si applica in presenza di un pericolo noto e scientificamente ben conosciuto: così per esempio si conoscono gli effetti patogeni della Salmonella sull’uomo in determinate condizioni e al fine di scongiurare tale pericolo si vieta il consumo e la commercializzazione di alimenti contaminati da tale microrganismo.

Il principio di prevenzione viceversa viene utilizzato a fronte di pericoli ignoti o dai contorni non chiaramente delineati in cui la scienza non è in grado di fornire certezze e risposte sicure. In questo caso si pone il problema della gestione di tale rischio vero o presunto. Con il principio di precauzione si interviene per disciplinare, limitare o proibire una certa attività umana che potrebbe causare danni ancor prima che si abbia una certezza scientifica della sua sicura pericolosità.

La funzione è quella di risposta a una preoccupazione dell’opinione pubblica in assenza di conoscenze precise o informazioni sufficienti. Un esempio si può rinvenire addirittura nelle regole contenute nella Bibbia ove è previsto il divieto di consumare certe carni tra cui il maiale. Il motivo spesso addotto per giustificare tale divieto è che il maiale, quando non è ben cotto, può trasmettere una grave malattia, la trichinosi. La presenza della Trichina era naturalmente sconosciuta agli antichi ebrei tuttavia la conoscenza di una malattia ignota legata al consumo di carne di maiale aveva indotto gli estensori delle regole alimentari contenute nel Levitico dall’astenersi dal consumo dell’animale.

è chiaro che tale divieto rappresenta nella sostanza quello che oggi viene definito come principio di precauzione. Il principio di precauzione è stato applicato nel passato recente ai prodotti agricoli provenienti da sementi geneticamente modificate (OGM) che sono stati oggetto di attenta valutazione per i possibili effetti non prevedibili che avrebbero comportato nell’ambiente naturale.

Un altro caso in cui si è fatto massiccio ricorso al principio di precauzione è stato quello che ha coinvolto i produttori di pasta aromatizzata con peperoncino rosso.

A seguito dell’allerta Sudan Rosso sono state ritirate dal mercato e poste in sequestro intere partite di prodotto contenente una percentuale minima di peperoncino colorato con il Sudan. In concreto la presenza della sostanza ritenuta pericolosa e potenzialmente cancerogena era modestissima tuttavia a seguito dell’applicazione del predetto principio è stato ritenuto più sicuro ritirare dal commercio tutta la produzione di pasta contenente tale ingrediente anche se presente in alcuni casi solamente in minime tracce.

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