Rivedere il Farm to Fork per evitare carestie

16 Marzo 2022 Off Di Redazione

Economia, guerra e carestie: riflessioni per una nuova politica agraria

di Dario Casati (Economista agrario)

È uno scacchiere mondiale tormentato quello che si sta configurando nei primi mesi di quest’anno. La storica terna delle sventure che colpiscono l’umanità costituita da pestilenze, guerre e carestie si sta ricomponendo secondo logiche antiche, ma in chiave forzatamente attuale.

Focus sullo status attuale

La pandemia da Covid 19 (la pestilenza) è ancora tra noi dopo circa due anni, con evoluzioni imprevedibili, anche se iniziamo a disporre di primi strumenti di contrasto che non siano il semplice blocco delle attività per evitare la diffusione del contagio.

Progressi significativi si sono compiuti in tempi insolitamente brevi e consentendo una promettente ripresa delle attività economiche iniziata già a fine 2021 e proseguita nel 2022.
L’acuirsi del contrasto nell’Europa settentrionale fra Russia e Ucraina (la guerra) assume preoccupanti dimensioni sino ai livelli di un conflitto mondiale, che sarebbe il terzo in circa cento anni. Lo scontro militare, con pesantissime conseguenze, procede inesorabile e, in apparenza, senza una conclusione a breve.
La guerra con i suoi costi diretti e indiretti provoca un grave rallentamento dell’economia (la carestia) proprio nel momento in cui questa sembrava in consolante ripresa. Numerosi beni essenziali, come le materie prime alimentari, ma non solo, mancano impedendo il mantenimento dei livelli di vita. La carestia, in senso lato, si estende agli aspetti umani e finanziari sino a provocare la potenziale contrazione del Prodotto lordo mondiale.

Il mondo verso una crisi globale?

Le componenti della terna dei mali dell’umanità assumono caratteristiche che provocano un crescente allarme. Da un lato la ripresa dell’economia contiene elementi di potenziale freno, in parte previsti e per altri versi inattesi, che possono minarne il proseguimento nella fase in cui ingenti sforzi finanziari dovrebbero incentivarla. Basti pensare ai grandi Piani, come il Next Generation Eu o quelli degli USA e della Gran Bretagna. Lo sforzo finanziario è ovunque ingente e richiede un attento monitoraggio con un occhio di riguardo alla dinamica dei tassi di interesse sull’enorme debito contratto dagli Stati e non trascurando i costi per il contrasto della pandemia che non può considerarsi conclusa.
L’improvvisa esplosione della guerra fra Russia e Ucraina riapre un problema latente, riemerso con inusitata intensità. Una vera e propria guerra in Europa, fra Paesi legati da antichi vincoli e da rapporti alterni è un fenomeno con potenziali caratteristiche dirompenti. Fatti per i quali al momento è difficile individuare possibili vie di soluzione.

L’economia in difficoltà, ma non è solo colpa dell’inflazione

La rapidità e intensità della ripresa economica trainata dalle economie sviluppate ha “coperto” una serie di questioni potenzialmente pericolose per un suo proseguimento equilibrato.
L’esistenza di problemi complessi e di soluzione non facile si è messa in luce, già nei mesi dell’avvio della ripresa, dalla crescita dell’inflazione. Questa era assente da tempo nelle economie avanzate che, anzi, auspicavano un suo aumento nell’ordine di un 2% ritenuto compatibile con la crescita in funzione di stimolo alla ripresa. Invece, prima nell’economia degli USA e poi anche nelle altre, essa è salita ben oltre questa soglia raggiungendo negli Stati Uniti quasi il 7% su base annua e in Europa circa il 5%. In un primo tempo si è data la responsabilità di questa impennata ai prodotti energetici, petrolio e gas innanzitutto, a causa di uno squilibrio offerta/domanda superiore alle previsioni. Al seguito di questa categoria, però, si sono mosse le commodity agricole, alcuni minerali ferrosi e del gruppo delle terre rare e particolari manufatti semilavorati da impiegare nei processi produttivi. Questi squilibri sono da attribuire sia alla salita di alcune commodity di base, sia ai colli di bottiglia ed alle interruzioni delle catene produttive verificatisi a causa della pandemia. Il problema inflazione non si limita ai costi energetici, ma si estende all’intero sistema produttivo per il noto meccanismo di trasmissione dell’inflazione.

La variazione dei prezzi in Italia mostra che i maggiori incrementi sono dovuti ai prodotti energetici e ad alcune commodity agricole, mentre per gli altri prodotti la salita dei prezzi è “trainata” dalla dinamica delle categorie indicate.

L’irruzione del conflitto Russia-Ucraina nell’economia mondiale

Il conflitto iniziato nel 2014 aveva al centro il controllo della Crimea e di una parte delle province orientali ucraine. Queste aree alla caduta del comunismo ed allo scioglimento dell’URSS furono attribuite all’Ucraina pur contenendo una consistente quota di popolazione russo-fona.

Chiusa la fase acuta con una formula che, di fatto, placava le richieste russe, proseguirono scontri armati locali fra i due Paesi sino all’attuale guerra. Sulla contesa gravano antichi diritti a favore di entrambe le parti oltre alla frettolosa liquidazione dell’URSS che anche, in altre aree, ha provocato scontri fra Russia e nuovi Stati indipendenti. La fine del comunismo sovietico non ha chiuso i conti
con un passato che è stato bruscamente cancellato. Ma se è caduta la componente comunista della Russia non altrettanto è accaduto del suo imperialismo, eredità sia della Russia imperiale sia di quella sovietica.
La guerra scatenata dal Putin muove da problemi che vanno oltre una disputa territoriale e che vanno ricondotti alla logica di Jalta e della linea di demarcazione fra le aree di influenza determinate dalla linea Lubecca-Trieste nonché dal modo di intendere il concetto di “area d’influenza” ad Ovest e ad Est della linea stessa.
Il trascorrere del tempo ha accresciuto il flusso di scambi fra la Russia e i Paesi occidentali, in particolare per quanto riguarda i prodotti energetici e alcune commodity agricole come i cereali e le oleaginose. La guerra, per essere chiari, aggiunge motivazioni all’incremento dei prezzi di alcune materie prime che già animava i mercati.

Quale futuro per i mercati agricoli e nello specifico per i cereali?

La tumultuosa ripresa economica che ha portato nel 2021 in Italia ad un incremento del Pil inizialmente stimato al 6,1% e ora, dopo gli ultimi conteggi, al 6,6% rispecchia la struttura precedente della nostra economia manifatturiera seconda solo a quella tedesca in Europa. Siamo grandi trasformatori in ogni ambito, incluso l’alimentare.

In tempi di pace e di globalizzazione spinta, tutto ciò presenta limitati problemi, ma non accade lo stesso nelle grandi emergenze come quella attuale. L’Italia è importatrice netta di un’importante quota di energia. Le sue risorse interne, in gran parte costituite da energia rinnovabile (idroelettrica, eolica e solare), gas e petrolio, non sono sufficienti e devono essere integrate da importazioni in gran parte costituite da gas russo, per il 42% del fabbisogno, e da petrolio. Questa situazione discende da una serie di decisioni come l’abbandono del nucleare, la riduzione delle estrazioni di gas e petrolio su territorio nazionale, la limitazione a nuovi impianti anche idroelettrici. Le rinnovabili presentano comunque un problema di difficile gestione in considerazione dell’irregolarità e discontinuità della produzione e della conservabilità dell’energia prodotta.
Una situazione per molti aspetti simile riguarda l’agroalimentare. La bilancia commerciale delle materie prime agricole nel nostro Paese è tradizionalmente in passivo. Solo di recente calcolando la bilancia “agro-alimentare” essa ha segnato un attivo dovuto al fatto che la componente alimentare era da tempo in attivo, mentre rimaneva in rosso quella agricola. I successi dell’export derivano dunque dalla capacità dell’industria alimentare di trasformare quantitativi crescenti di commodity importate in alimenti che poi vengono esportati. Il vino peraltro costituisce la voce decisiva per l’attivo.
In questo quadro si inserisce la tendenza recente della nostra agricoltura alla contrazione della produzione interna per una serie complessa di cause a cui non sono estranei i vincoli delle normative di tutela ambientale. Ciò costringe ad importare quantitativi crescenti di materia prima specialmente per le grandi colture agricole come i cereali, in particolare frumento, tenero e duro, e mais, oltre alle oleaginose, in particolare soia.

Se ancora negli anni ’90 la produzione interna di mais permetteva di alimentare un ridotto flusso di esportazione e quella di frumento di contenere le importazioni in circa un terzo del fabbisogno di grano duro, peraltro destinato a produrre un equivalente quantitativo di pasta esportata, oggi l’Italia importa circa il 50% del suo fabbisogno di mais, il 35% del grano duro ed il 64% del tenero. Questi cereali sono oggi in crescente misura importati dai paesi del Bacino danubiano e del Mar Nero. Se questi trend non verranno corretti per tempo non è escluso che future emergenze, di tipo sanitario, commerciale o bellico possano porre il nostro Paese anche in campo agroalimentare nelle stesse condizioni di impotenza di quello energetico, con conseguenze che preferiamo non immaginare.
Oggi, se anche decisioni immediatamente esecutive fossero adottate per le materie prime energetiche che siamo costretti ad importare dal mercato mondiale a causa delle sanzioni e delle ritorsioni dovute alla guerra, queste non sarebbero in grado di produrre risultati produttivi prima di almeno tre anni per le più semplici, legate alla rimessa in produzione di impianti abbandonati o sottoutilizzati, ma dell’ordine di almeno un decennio per quelle strutturali.

Tempi e prospettive per una ripresa produttiva dell’agricoltura italiana sono analoghi, nonostante il relativo vantaggio della possibilità di riorientare ogni anno il mix produttivo, ma tenendo conto che solo un deciso passaggio a forme di agricoltura in cui cresca la produttività devono essere introdotte al più presto, rivedendo l’impostazione ambientalistica ed estensiva che invece a tutt’oggi anima le politiche agrarie a partire dalla Pac e dal suo indirizzo “Farm to fork”.

Per analogia, se nella transizione energetica viene rivisto l’impianto logico e programmatico per tenere conto della crisi energetica conseguente alla guerra, allora è giunto il momento di ripensare le politiche agricole in una prospettiva di sicurezza degli approvvigionamenti alimentari che, almeno sino ad oggi, è stata trascurata.
Le recenti dichiarazioni del Commissario all’agricoltura dell’Ue, il polacco, Wojciechowski, al termine di una riunione d’urgenza del Consiglio dei Ministri dell’Agricoltura dell’Ue sulla necessità e disponibilità di rivedere la strategia del “Farm to fork”, in questo senso aprono la strada di una concreta e rapida revisione della Pac.
I popoli dell’Ue e del mondo intero guardano con speranza a questa prospettiva per evitare la prossima carestia mondiale.