Crisi economica ed Europa
12 Aprile 2013La situazione economica e sociale in cui versano molti tati dell’Eurozona sta accentuando i malumori di chi all’Unione Europea non solo attribuisce l’incapacità di affrontare l’emergenza, ma addirittura addebita le colpe della crisi internazionale. Aumentano ogni giorno coloro che dall’Unione vorrebbero uscire, ma anche il fronte di chi crede fermamente che la via della ripresa sia solo nel rafforzamento della Unione Europea. Sentiamo il parere di alcuni produttori di pasta italiani: Mimmo Giglio, Davide Muscas, Fabrizio Cavarero e Michele Fiorillo.
La crisi finanziaria internazionale e la situazione del debito di alcuni Paesi dell’Eurozona ha riacceso la polemica tra favorevoli e contrari all’Unione Europea. L’unione monetaria in assenza di quella fiscale e politica e la differenza di regole e di norme tra gli Stati rende quest’Europa un gigante dai piedi di argilla, sempre a rischio di fallimento sia nelle singole azioni che nell’operato complessivo. Non sono pochi coloro che ritengono che restituire piena autonomia ai singoli Paesi permetterebbe finalmente alle economie nazionali di risollevarsi. Non si creda però che ci sia un’univocità di vedute perché i pareri sono diversi e talvolta contrastanti. Per un certo numero di soggetti, anche autorevoli, contrari ad un’Europa così organizzata, ce ne sono altrettanti che ritengono che pur con degli aggiustamenti, l’Unione Europea sia un soggetto imprescindibile e che addirittura alla crisi in atto si dovrebbe rispondere dando a questa istituzione un peso e un potere sempre maggiori.
Qualunque posizione si prenda, è un dato di fatto che l’Unione Europea sia un’anomalia per due elementi che la rendono un caso più unico che raro: ad una politica monetaria unica infatti non corrisponde una politica fiscale centralizzata. Al contrario, i singoli Stati decidono in autonomia sulla base di una precisa e rigida disciplina di bilancio, ma in un mercato unico, dove le merci circolano liberamente. è un modello anomalo e limitato questo, che il tempo ha mostrato essere anche incapace di affrontare sia problematiche di ordinaria amministrazione, sia gravi emergenze come quelle in atto.
A questo si aggiunge il fatto che i Paesi che compongono l’Unione Europea non hanno tutti la stessa situazione economica e sociale. Alcuni mostrano delle fragilità che altri non hanno e la politica di integrazione finora applicata, nonostante gli innumerevoli sforzi e i fondi spesi, non è riuscita a compensare queste differenze. Non tutti i Paesi periferici possiedono strumenti per colmare il gap di competitività e questo fatto li costringe ad adottare azioni che intervengono sulla domanda interna attraverso tagli salariali e riduzione della presenza del settore pubblico nell’attività economica, generando così, in un circolo vizioso, ulteriori problemi che si alimentano reciprocamente.
Ma se questa linea sta mostrando da tempo i suoi limiti, non se ne ipotizza ancora l’abbandono. Anzi, nonostante il malcontento dilagante, non si parla ancora in maniera esplicita ed ufficiale di un cambio di rotta. Allo stesso tempo è evidente il disorientamento dei nostri governanti, siano essi comunitari o nazionali, su come gestire il futuro, anche quello più prossimo. La sensazione che si navighi a vista è tangibile.
Si fanno sempre più insistenti le voci secondo cui il progetto dell’unione monetaria sia destinato al fallimento e che piuttosto di continuare a sopportare costi sociali così alti, sarebbe meglio ridare alla politica nazionale dei singoli Stati l’autonomia e la capacità decisionale di un tempo. Questa posizione non trova terreno fertile soltanto tra coloro che ritengono di subire i danni delle inefficienze dei Paesi periferici, ma anche tra i Paesi poveri o marginali dove si crede con convinzione che l’Europa – anziché migliorarla – abbia ulteriormente peggiorato una condizione già deleteria in partenza.
Un altro fronte ritiene che l’unica via sia quella di rafforzare il sistema europeo dando vita a quella unione politica che oggi manca. L’unione monetaria presenta infatti l’anomalia di non essere supportata da un solo Stato e questo, di fatto, impedirebbe di affrontare i problemi generali con un’azione unica, una linea coerente e un fronte compatto.
Certamente un’Europa più integrata potrebbe essere la risposta a problematiche comuni, ma noi non siamo gli Stati Uniti d’America, costruiti in secoli di storia e in ben altri tempi. Forse i Paesi membri hanno ancora identità e vissuto troppo differente e questa diversità impedisce la coesione necessaria per affrontare tempi difficili come quelli attuali. Ciò che lega i popoli non sono infatti le carte, né le leggi fatte a tavolino.
Per unire ci vuole ben altro.
Non si intende intavolare qui una discussione sui reali vantaggi che si hanno a stare in Europa. Considerato che questo tipo di analisi è difficile anche per autorevoli economisti e addetti ai lavori, si ha l’unica pretesa di sondare gli umori tra chi lavora e produce ogni giorno e chi l’Europa la vive nel quotidiano.
Il primo esempio è Mimmo Giglio, titolare di un pastificio in centro a Palermo che esordisce così: “Noi in Sicilia siamo periferia nella periferia, non solo perché c’è un abisso tra l’Italia e Paesi come la Francia e la Germania, ma anche per la distanza che viviamo tra le regioni del Meridione d’Italia e quelle del Settentrione. è difficile fare integrazione in un territorio dove le differenze sono così marcate. Le disparità sono troppe. Non siamo ai margini solo dal punto di vista geografico. Non solo per quello…
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