Le Sebadas di Sardegna diventano IGP 

27 Luglio 2023 Off Di Pastaria

È la sesta pasta alimentare a cui viene riconosciuta l’Indicazione Geografica

Maria Antonietta Dessì

Se c’è un formato che della pasta mostra tutta la versatilità, le innumerevoli possibilità di utilizzo e le infinite occasioni di consumo, questo è uno dei più celebri prodotti sardi: le Sebadas. 

Nato come piatto unico e salato, si è poi trasformato nel tempo in dolce, grazie all’aggiunta di miele o di zucchero che avviene immediatamente dopo la cottura in olio bollente.

Questo raviolone ripieno di formaggio e aromi, uno dei più caratteristici piatti del patrimonio enogastronomico isolano e nazionale, si è guadagnato oggi il riconoscimento più ambito per un prodotto alimentare di seconda trasformazione: l’Indicazione Geografica Protetta. Un attestato che porta a sei il numero di specialità pastarie a denominazione in Italia e a tre, l’elenco della pasta ripiena IG. Un lista che comprende i Maccheroncini di Campofilone, la Pasta di Gragnano, i Cappellacci di Zucca, i Culurgionis d’Ogliastra e i Pizzoccheri della Valtellina. Tutte IGP.

Ci sono voluti anni di lavoro preparatorio e un iter amministrativo lungo e complesso che ha visto il coinvolgimento e l’esame della richiesta da parte della Regione Autonoma della Sardegna, il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste e infine il vaglio della Commissione Europea. Ma trattandosi di un prodotto fortemente legato al territorio, con una lunghissima tradizione e una storia che si perde nel tempo, la tutela, oltre che meritata, era auspicata da più parti.

Essendo presenti nell’Isola declinazioni linguistiche importanti, da zona a zona, talvolta anche da comune a comune, la denominazione protetta comprende diversi sinonimi: oltre a Sebadas, anche Seadas/Sabadas/Seattas/Savadas/Sevadas.

Chi ha visitato questa regione non può non aver degustato una specialità presente ormai in qualunque menu della ristorazione locale. Non si tratta infatti solo di un prodotto molto caratteristico ed apprezzato, ma anche veloce da cuocere, che difficilmente delude i commensali. 

Immancabile nei menu dei ristoranti isolani, è oggi disponibile nei laboratori di produzione artigianale di pasta fresca, in molti panifici e pasticcerie, nelle piccole superfici di vendita e nella Grande Distribuzione Organizzata, da qualche tempo anche del “Continente”, come i sardi chiamano, qualunque regione italiana oltre Tirreno.

Si tratta di un prodotto tradizionale, che vanta un prezzo accessibile e che garantisce un sicuro apprezzamento a tavola. Anche perché, oltre ad un’immagine decisamente invitante, oggi viene proposta da molti chef anche con abbinamenti diversi da quelli classici del miele o dello zucchero bianco.

Il sapore è ancor più esotico: questo raviolone, nella frittura sviluppa bolle, colori e una friabilità gradevolissimi, ma in più al taglio lascia intravvedere un ripieno filante dove dolce e acidulo si sposano, in un sodalizio insolito e sorprendente. Il contenuto è infatti un formaggio pecorino, vaccino o caprino, in alternativa tra loro e – nella stragrande maggioranza dei casi – scorza di agrumi, limone o arancia. Il disciplinare, nel rispetto delle consuetudini locali che presentano differenze a seconda della zona di produzione, lascia spazio a piccole variazioni, tanto nel ripieno quanto nella sfoglia e nelle dimensioni.

Le Sebadas, le cui origini si perdono nel tempo, rappresentano il connubio perfetto tra le principali vocazioni economiche isolane, che sono quelle dell’agricoltura e dell’allevamento. Le tre filiere, quella cerealicola, quella ovina, bovina e caprina e quella suina, – quest’ultima in ragione dello strutto che viene aggiunto nella sfoglia per renderla friabile -, trovano in questa specialità unica, la loro massima espressione. 

Le differenze e la varianti ammesse nel disciplinare sono il perfetto riflesso di un’economia dove possono prevalere degli elementi anziché altri. Dove era più diffusa la pastorizia, per esempio, le Sebadas venivano fatte con formaggio ovino. Dove invece era prevalente l’allevamento bovino, si utilizzava il formaggio vaccino. In zone come il Montiferru viene tuttora realizzata con Casizolu, in una variante tanto sorprendente quanto pregiata. In passato, dove possibile, si  utilizzavano anche più formaggi in contemporanea, soprattutto perché l’antica ricetta prevede che il ripieno, prima di essere deposto sui dischi di pasta, venga fatto sciogliere in una padella con la scorza di limone o arancia. Questo procedimento così complesso è però ormai in lento disuso e prevalentemente limitato agli ambienti domestici per l’autoconsumo. La prassi, anche nei pastifici di piccole dimensioni, è ora quella di utilizzare per il ripieno, dischi di formaggio precedentemente preparato per l’uso, ma non cotto e con risultati ugualmente eccellenti, soprattutto se si impiegano materie prime di qualità.

Le dimensioni previste dal disciplinare hanno un range discretamente ampio. Si è voluta infatti preservare una tradizione, che le voleva grandi come un piatto piano, in cui vengono tagliate per essere condivise tra più commensali. Ma siccome si tratta di un prodotto importante in termini nutrizionali, non sempre facile da consumare a fine pasto, le dimensioni richieste sono andate via via riducendosi.

Tra i componenti del Comitato Promotore dell’IGP che ha sede nella CNA Ogliastra, a Tortolì non si nasconde l’entusiasmo per il raggiungimento di un risultato che segna la storia della pasta fresca isolana e nazionale. 

Le imprese che lo compongono e che per anni hanno operato per il raggiungimento di questo importante obiettivo sono la pasticceria La casa della nonna di Bolotana, il Laboratorio di pasta fresca e pasticceria di Richard Marci di Cardedu, il pastificio Contini srl di Santa Giusta, il pastificio Calitai di Cagliari, Il pastificio Antonio Cossu srl di Iglesias, la ditta I Sapori d’Ogliastra di Vito Arra, il panificio La fornarina di Marco Orru di Cagliari, il Biscottificio Demelas di Stintino e La Sfoglia d’Oro di Sassari. Aziende che vantano la maggior produzione e che, in certi casi, per la qualità del loro prodotto, sono state insignite di riconoscimenti importanti.

“Per anni abbiamo lavorato a questo progetto, ben prima di presentare ufficialmente la domanda al Ministero. Siamo pertanto molto soddisfatti del riconoscimento ottenuto”, ha dichiarato Franco Calisai, presidente del Comitato Promotore Sebadas di Sardegna IGP, che ha aggiunto: “l’acquisizione di questa denominazione è innanzitutto una tutela per il consumatore, ma anche un modo per sottrarre il prodotto a tentativi di usurpazione del nome”. 

Non ci sono dati ufficiali sulla reale produzione di Sebadas, ma si stimano circa 250 pastifici nell’Isola e molti di questi producono questa specialità, inoltre la regina dei dessert isolani viene spesso realizzata anche nei panifici, nei ristoranti, nelle aziende agrituristiche e nelle pasticcerie. La produzione complessiva media è di 2milioni di pezzi annui, pari a circa 1.600 quintali e oltre 2.500.000 euro di fatturato e un numero di dipendenti di circa 150, mentre quello degli addetti, che comprende oltre ai dipendenti, anche titolari, soci e coadiuvanti, è di 250. 

“Possiamo dire con orgoglio di aver fatto del nostro meglio per tutelare il nome di questa straordinaria specialità, ma anche per legarla il più possibile al territorio, valorizzando la materia prima locale e soprattutto il saper fare dei produttori pastai che con sapienza e impegno, rinnovano il patto con la tradizione culinaria regionale, che è anche espressione della nostra cultura e della nostra identità” aggiunge Vito Arra, produttore e socio fondatore del Comitato.

La certezza è che l’Indicazione Geografica Protetta possa aprire la porta ai mercati extraregionali, essere volàno per un’economia oggi in forte sofferenza e dare una garanzia di qualità al consumatore.

Fotografia: cortesia I Sapori d’Ogliastra di Vito Arra