Quale grano per il futuro?
7 Dicembre 2015Giovedì 26 novembre, presso il centro congressi Santa Elisabetta dell’Università di Parma, si è tenuto il convegno conclusivo del progetto di ricerca e sperimentazione AMicoGrano, finanziato dalla Regione Emilia Romagna con il bando Zona Sisma del 2013 e cofinanziato dall’azienda parmense Open Fields srl. Il progetto Amico Grano – Analisi dell’incidenza delle Micotossine su Grani moderni e antichi coltivati in regime biologico e convenzionale – ha esaminato, su due annate agrarie, 10 varietà di grano antiche e moderne, coltivate in biologico ed in convenzionale, valutandone aspetti importanti della sicurezza alimentare come l’accumulo in micotossine, oltre alle caratteristiche agronomiche e qualitative. Il recupero di specie e varietà antiche è quanto mai attuale, in un’ottica di mantenimento della biodiversità e di diversificazione. In AMicoGrano, le specie in esame sono state i farri (farro piccolo T. monococcum L.; farro medio T. turgidum var. dicoccum L. e farro grande T. spelta L.), che rappresentavano le principali colture fino all’anno mille e che oggi sono coltivate in aree limitate, e le varietà storiche di grano tenero o duro (come la nota varietà di grano duro Senatore Cappelli), coltivate largamente in Italia fino alla seconda guerra mondiale e successivamente abbandonate a favore di varietà caratterizzate da taglia più bassa e rese maggiori. L’interesse verso le specie antiche e le varietà storiche di grano sta aumentando, da parte delle famiglie e conseguentemente del settore industriale e distributivo. Questi cereali si prestano ad essere coltivati in regime biologico ed in aree marginali (montagna, terreni poco fertili) per la loro minore necessità di apporti durante la crescita delle piante, il che li rende un’alternativa sostenibile dal punto di vista ambientale, nonché un’opportunità in più per la promozione dei prodotti del territorio. Le micotossine sono composti chimici tossici, prodotti da funghi che colonizzano le colture, che possono indurre, una volta ingerite dagli animali allevati o dall’uomo, diverse patologie acute e croniche.
Oggi, le micotossine restano una delle maggiori problematiche legate alla salubrità delle derrate e per questo sono normate a livello dell’Unione Europea. Poco si conosce sulla tendenza delle specie antiche e delle varietà storiche di grano ad accumulare micotossine, ma la loro alta taglia poteva far ipotizzare un minore attacco da parte dei funghi produttori.
Il convegno si è aperto con i saluti deI Pro-rettore Professor Furio Brighenti, che ha illustrato il ruolo dell’ateneo parmense nel contesto agroalimentare regionale, con particolare riferimento al laboratorio SITEIA per la ricerca industriale ed il trasferimento tecnologico. A seguire l’intervento dell’Assessore all’agricoltura, caccia e pesca della regione Emilia Romagna, Simona Caselli, che ha sottolineato la coerenza di questo progetto rispetto alle politiche regionali e ai temi portati ad EXPO. L’assessore ha evidenziato come la sicurezza alimentare debba sempre partire “dal campo” ed ha lanciato le prossime “sfide” per l’innovazione nel settore agro-alimentare, tra queste, l’agricoltura di precisione, il sequestro di carbonio nei suoli, la riduzione delle emissioni, l’aumento degli ettari coltivati in biologico, il recupero del ruolo produttivo della montagna. L’assessore ha quindi descritto il Piano di Sviluppo Rurale (PSR) e le politiche per la ricerca auspicando una sempre maggiore capacità delle Università, dei laboratori di ricerca industriale, dei centri per l’innovazione e delle Imprese a “fare rete” per affrontare le reali problematiche dell’impresa agricola con particolare attenzione verso il miglioramento dei processi. Il tema del controllo delle micotossine è stato introdotto dalla Professoressa Battilani, docente della Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Università del Sacro Cuore. I diversi rappresentanti dei partner del progetto hanno quindi discusso i risultati ottenuti lanciando le basi per una discussione conclusiva molto partecipata: l’Azienda Agraria Sperimentale Stuard (Cristina Piazza e Roberto Reggiani), responsabile del coordinamento agronomico dei campi sperimentali di Parma e presso l’Azienda agricola Capponcelli Mauro di San Giovanni in Persiceto (BO); il Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Parma (Prof. Gianni Galaverna), responsabile delle analisi chimiche della granella; e Open Fields (Roberto Ranieri e Silvia Folloni), azienda privata dedicata all’innovazione e al trasferimento tecnologico nel settore agroalimentare, promotore e coordinatore del progetto. Al termine degli interventi dei partner, Marina Carcea, Presidente dell’Associazione Italiana di Scienza e Tecnologia dei Cereali, ha “guidato” i presenti in un viaggio alla scoperta del chicco di grano, soffermandosi sugli elementi che ne determinano il valore nutrizionale (amido, fibra, proteine, microelementi, enzimi, sostanze bioattive, etc), ricordandoci che non sono solo le specie e le varietà a determinare la quantità e la biodisponibilità degli elementi, ma anche i processi tecnologici quali la prima trasformazione, i sistemi di fermentazione, e la trasformazione casalinga. In chiusura Silvio Grassi, amministratore delegato del Molino Grassi di Fraore (Parma), leader nazionale nelle farine e semole biologiche, ha ripercorso le tappe che hanno portato la sua azienda a macinare grano biologico e ad interessarsi di grani antichi. Con il progetto “Miracolo”, ha detto, “abbiamo dato sostanza al concetto di grani antichi e biodiversità”. Al termine dei lavori, una interessante discussione ha visto protagonisti produttori agricoli e primarie industrie di trasformazione. Alla domanda “Quale grano per il futuro?” sono stati raccolti diversi pareri che hanno concordato nel portare avanti un approccio globale e sistemico: accanto alla valorizzazione delle varietà moderne per le caratteristiche di adattabilità e nutrizionali nella sfida di nutrire il pianeta, è opportuno conservare e valorizzare le specie antiche e le varietà storiche, promuovendo la coltivazione in regime biologico soprattutto nelle aree collinari e montane.
Comunicato stampa