L’autunno caldo dei prezzi

3 Dicembre 2007 0 Di Pastaria

Pesano sui prezzi della pasta i contraccolpi del caro-grano. L’incremento dei prezzi al consumo necessari per arginare gli aumenti dei costi di produzione derivanti dai rincari della materia prima.

di Carlo Pisani

Cosa c’è dietro l’autunno caldo dei prezzi? Chiederselo è doveroso. Ma soprattutto è opportuno comprenderlo e interpretarlo nella sua veste di fenomeno nuovo per alcuni settori, in primis quello delle paste alimentari. Di fronte allo strappo recente dell’inflazione che, con l’ ausilio (anche) del comparto alimentare, si è arrampicata a ottobre scorso fino al 2,1%, dall’1,7% di settembre.
Dati, quelli dell’Istat, che danno il quadro di una situazione ormai mutata, in linea comunque con quanto emerso in altri paesi Ue e in Eurolandia, dove il caro-vita è addirittura balzato al 2,6%. E che avranno tra l’altro un seguito nei prossimi mesi, anche in considerazione di un effetto-confronto, sul piano statistico, che porta a stimare l’inflazione di fine anno su un livello ancora più elevato rispetto a quello attuale, in special modo per il settore alimentare.
A preoccupare è soprattutto il superamento della soglia obiettivo del 2%, di quella “zona di conforto” cioè che la Bce, la Banca centrale europea, ha preso come riferimento per tarare i suoi interventi di politica monetaria attraverso la leva del costo del denaro. Variabile che, in antitesi ai movimenti d’Oltreatlantico, dove i tassi di interesse hanno preso invece a scendere da alcuni mesi per decisione della Fed, la Banca centrale Usa, sta anche condizionando le dinamiche valutarie. E ha permesso all’euro di superare abbondantemente la soglia di 1,45 dollari, alimentando i timori di ripercussioni sull’export dei paesi a moneta comune.

Tutto sta nel comprendere, quindi, le cause di un fenomeno, quello della ripresa inflazionistica, che trova almeno in parte una spiegazione proprio nell’escalation dei prezzi dei prodotti alimentari, che a ottobre hanno esibito una crescita annua del 3,4% (senza tenere conto delle bevande alcoliche), di ben 5 decimi di punto superiore al 2,9% rilevato a settembre. Un segmento, quello del food & beverage, che ha raggiunto, il mese scorso, gli stessi ritmi di marcia di altri capitoli roventi, come quello dei trasporti, sollecitati dal caro-greggio.

Mettendo a segno la crescita mensile più accelerata tra tutte le macrovoci monitorate dall’Istat, dopo elettricità e combustibili, con un balzo in avanti in trenta giorni dello 0,8%.

A soffiare sul fuoco dei rincari, tra i generi alimentari, è stata anche la pasta, additata tra l’altro in questi ultimi mesi come uno dei principali responsabili del caro-vita. Un prodotto che nella media del 2006 aveva svolto, al contrario, un ruolo quasi deflattivo, registrando al consumo un rincaro di appena lo 0,3% (contro un’inflazione attestata all’1,7%). Un aumento quindi solo frazionale che aveva permesso al comparto di recuperare una perdita di ugual misura (-0,3%) archiviata nei dodici mesi del 2005.

L’accelerazione quest’anno oggettivamente c’è stata. E a confermarlo è la serie storica dei tassi di crescita tendenziali (calcolati cioè in rapporto allo stesso periodo dell’anno precedente) rilevati dall’Istat, che per le paste alimentari segnalano a settembre un rincaro del 4,5%, contro il più 3% di agosto e il 2,7% del bimestre giugno-luglio. Per ottobre si attende un altro scatto in avanti, ancora da confermare nelle rilevazioni ufficiali, che porterebbe la crescita annua dei prezzi della pasta al 6,5%. E a fine anno l’aumento, sempre alla fase al consumo, potrebbe anche toccare i 7 punti percentuali. Una crescita che andrebbe a rapportarsi a un magro più 0,7% rilevato a dicembre dell’anno scorso e a un calo addirittura di 3 decimi di punto registrato a fine 2005.

Tutti gli elementi, insomma, sembrano confermare una netta inversione di tendenza rispetto a un recente passato che aveva invece attribuito alla pasta un effetto-calmiere, ormai (sembra) esaurito.

Resta da rilevare che, nonostante i rincari, avvertiti in questi ultimi mesi dai consumatori, le paste secche tradizionali rimangono senza dubbio, a fianco ad altri prodotti come gli oli di oliva, tra le referenze a più alta incidenza di promozionalità nei negozi della grande distribuzione organizzata. Un fenomeno ricorrente, quello delle vendite a sconto, che avrebbe avuto l’effetto di attenuare gli aumenti di prezzo più che in altri settori, come in quello dei lattiero-caseari, caratterizzato da rincari altrettanto evidenti e soprattutto da prezzi medi unitari nettamente più elevati. Sul caro-pasta è opportuno comunque fornire alcune chiavi di lettura, che diano se non altro un quadro più completo sulle dinamiche in atto.

Considerando che proprio l’industria italiana delle paste alimentari, che all’estero è arrivata a destinare oltre la metà della produzione, accusa da tempo una tendenza, considerata ormai fisiologica, alla riduzione dei consumi finali. Un aspetto, questo, sufficiente a scoraggiare qualsiasi ritocco al rialzo dei listini.

Se quell’aumento medio del 4,5% c’è stato, e i dati Istat di settembre lo confermano, altro non è stato che il riflesso al consumo di un incremento dei prezzi alla produzione deciso dagli operatori industriali per arginare i rincari a tre cifre della materia prima, che sui costi di produzione dei pastifici incide per un buon 50%. Basti pensare che a fine settembre i prezzi del grano duro sulla piazza di Foggia, mercato di riferimento nazionale, avevano toccato punte di 370 euro per tonnellata, a fronte di quotazioni che l’anno scorso, alla stessa data, non superavano i 180 euro. Un divario sulla distanza di dodici mesi di oltre il 100% che equivale a prezzi più che doppi. Con il distacco che a ottobre scorso, quando la quotazione sulla piazza pugliese si era nel frattempo arrampicata fino a 460 euro per tonnellata, aveva sfiorato il +140%, rapportandosi a valori di poco superiori ai 190 euro di un anno prima.

Aumenti del tutto eccezionali, nella loro dimensione statistica, sui quali non mancano, a detta degli operatori, matrici speculative anche in considerazione degli scarsi afflussi di merce nei centri di scambio nazionali. A novembre la situazione, dopo i picchi registrati a fine ottobre, è leggermente migliorata, di riflesso tra l’altro a un’attenuazione delle tensioni sui mercati internazionali. Si tratterà di verificare se l’aumento delle superfici destinate al grano duro, atteso in Italia e in altri paesi europei, riuscirà a riportare verso il basso la colonnina di mercurio. O se i listini continueranno a segnare “febbre alta” anche nei prossimi mesi. Considerando che gli agricoltori, che pagano oggi per le sementi certificate un prezzo quasi doppio rispetto alla scorsa campagna, faranno in modo di rientrare a loro volta dei maggiori costi di produzione, fino a dove ovviamente il mercato riuscirà a consentirlo.

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