Cappelletti, dalla Romagna in giro per l’Italia
18 Aprile 2011Tra storia e geografia, le varianti di un formato classico della tradizione italiana.
di Oretta Zanini De Vita
Benché parente molto vicino al più noto e nobile tortellino bolognese, che si qualifica per diverso ripieno, il cappelletto romagnolo conservava, fino a qualche anno fa, del fratello bolognese la caratteristica forma del cappello medioevale da cui prende il nome ma la differenza, e grande, sta nel ripieno. Nel variegato mondo delle paste ripiene, che già nel Medioevo deliziavano il palato di chi poteva, il cappelletto di magro, come lo preparano in Romagna, serviva forse a riempire il vuoto che le quaresime e i numerosi giorni di vigilia aprivano nello stomaco. In confronto ai tortellini, erano molto più grossi e riempiti con un sontuoso squaquarone o raviggiolo oppure anche semplicemente con la ricotta alla quale si accompagnavano anche erbe varie: oggi si preparano con il prezzemolo o con gli spinaci. Erano destinati alla tavola delle grandi occasioni e non mancavano mai per la festa dell’Ascensione, quando nel ripieno, al posto degli spinaci o del prezzemolo, si mettevano le cime di ortica o di altre erbe selvatiche.
La storia ci racconta che i già celebri cappelletti senza carne – ma con l’aggiunta di grasso di rognone e midolla di bue – venivano preparati per il vescovo di Imola, Barnaba Chiaramonti, ch sarà papa con il nome di Pio VII dal 1800 al 1823. E forse è proprio per questo strappo alle regole della vigilia che la ricetta vergata dal cuoco Alvisi è chiamata “cappelletti alla bolognese”. [hidepost]
I romagnoli, si sa, sono un popolo che ama le burle e infatti nei tempi andati, durante il lavoro di preparazione dei cappelletti qualche massaia usava confezionare un cappelletto speciale, molto più grande degli altri chiamato è “caplitaz”, farcito unicamente di pepe, da servire in tavola per burla al più goloso. La lettura integrale è riservata ai possessori della rivista. Abbonati subito per non perdere il prossimo numero [/hidepost]