Testaroli della Lunigiana
11 Giugno 2011I testaroli, un antico piatto della Lunigiana, vero e proprio munumento dell’archeologia culinaria e pastaria italiana.
di Oretta Zanini De Vita
Se avete occasione di viaggiare in Lunigiana, spesso sarà capitato di sentirvi offrire al ristorante, come primo piatto, i famosi testaroli. Queste curiose losanghe di pasta che si condiscono per tradizione con il pesto ligure o anche con il sugo di pomodoro, sono in realtà una curiosa pasta, tipica di quell’area della Toscana che confina con la Liguria. Il testarolo, prima di essere messo a sbollentare in acqua salata per brevissimo tempo e poi condito, viene cotto in un curioso attrezzo chiamato appunto “testarolo”. Oggi il vecchio testarolo di terracotta invetriata che un tempo si costruiva nell’entroterra di Chiavari, è stato sostituito con quello di ghisa o di ferro che ha di quello antico le stesse dimensioni: le nostre norme HACCP, com’è ormai noto a tutti, non hanno molto rispetto delle nostre tradizioni alimentari!
Cosa sono dunque questi testaroli? Sono una sorta di focaccia cotta nel recipiente ben caldo, poi tagliata a spicchi, cotta e condita come si è detto. Il testarolo ha origini antichissime trattandosi in pratica di una sorta di piadina bollita. La Bibbia ce ne parla già per una bella sorpresa fatta ad Elia che, affamato, vide materializzarsi sul suo capo «una focaccia cotta sulle pietre ardenti»; ai tempi della Bibbia non c’era ancora il pesto ligure, ma per tacitare la fame dovette essere utile. E non possiamo non citare Varrone che, con una testimonianza ancora più importante, chiama «testuacium» una sorta di focaccia cotta sul mattone. Sul mattone, cioè su quello che ancor oggi in alcune regioni si chiama il “testo”.
Le genti della Lunigiana, e certamente non solo quelle, a partire dal Medioevo dovettero cibarsi di queste focacce, variamente condite o messe nelle zuppe. La composizione era semplice: acqua e farina. Ma quale farina? Oggi sono preparate con quella di grano duro, ma un tempo, a seconda delle aree, si preparava con quella di castagne, così come ancor oggi si fa per le trofie genovesi, oppure con il farro, rustica graminacea dal sapore forte e facilmente coltivabile anche in alta collina, oppure con quella di segale, o di orzo. [hidepost] La preparazione era ed è semplicissima: preparata una pastella di acqua e farina, leggermente salata, la si versa con un mestolino su quella parte dell’apposito attrezzo ben caldo che si chiama “testo sottano” che è stato unto con una cotenna di maiale. Poi la sottile crespella viene coperta con il “testo soprano” e il calore che si irradia porta a cottura il testarolo. L’operazione successiva sarà quello di tagliare il testarolo in losanghe, di immergerlo per un paio di minuti nell’acqua salata che bolle e poi, scolato, viene condito […]. La lettura integrale è riservata ai possessori della rivista. Abbonati subito per non perdere il prossimo numero [/hidepost]