Bucatini e amatriciana
9 Luglio 2012Il bucatino nella storia della gastronomia italiana e il suo inossidabile sodalizio con l’amatriciana.
di Oretta Zanini De Vita
Stiamo parlando di uno dei più antichi formati di pasta, quello che quasi duemila anni fa si confezionava già facendo arrotolare un pezzetto di impasto su un ferretto, su di un giunco o su un bastoncino levigato, in modo da ottenere, di varia lunghezza un rustico spaghettone perforato al centro. Dovette essere la trovata di qualche maccheronaio per accorciare i tempi di cottura di quella pasta che, in assenza dei moderni essiccatoi, doveva cuocere per tempi biblici. E che sulla sua carta d’identità ci sia scritto a grandi lettere “Sicilia” ce lo racconta addirittura verso la metà del sec XV, il grande cuoco Martino da Como che nel suo libro De arte coquinaria, alla voce «maccaroni siciliani» dice testualmente: «Piglia de la farina bellissima et impastala con bianco d’ovo […] acqua comuna […] fa’ questa pasta ben dura, da poi fanne bastoncelli longhi un palmo sottili quanto una paglia. Et togli un filo di ferro longo un palmo o più sottile quanto uno spagho, ponilo sopra ‘l ditto bastoncello e dagli una volta con tutte doi le mani sopra una tavola, da poi caccia fora il ferro, ristira il maccherone pertusato in mezo».
è davvero quasi incredibile, ma ancora oggi in Basilicata ogni famiglia ha in un cassetto in cucina il mitico ferretto a sezione quadrata per confezionare in casa questa golosa pasta della festa. La sezione quadrata del ferro facilita l’estrusione del grosso bucatino, proprio come ci insegna Mastro Martino. In Sicilia, invece, dove questo tipo di pasta, che si chiama busiata e si prepara con un giunco rigido particolare, le donne riescono addirittura a tirare un bucatino lungo più di 40 cm.
Il nostro buon Artusi, a testimoniarne la diffusione a tappeto su tutto il Regno di Napoli, li chiamava «maccheroni all’uso napoletano» e dovevano avere pareti grosse e foro non troppo stretto perché, diceva, «reggono molto alla cottura e succhiano più condimento». Era questa la tesi sostenuta anche da Gioacchino Rossini, il grande musicista che si considerava un cuoco di prima qualità, che usava farcirli con il fegato d’oca utilizzando una sottile siringa d’argento che si era fatto appositamente costruire da un orafo parigino. Il gran finale poi prevedeva la cottura in brodo di cappone e lui ci racconta nelle sue memorie di aver passato la ricetta addirittura al capocuoco di sua maestà l’imperatore Napoleone III. [hidepost]
Oggi il bucatino che esce dalle trafile industriali ha perfezionato il suo sottile spessore e il buco perfettamente centrato nella pasta avrebbe lasciato Mastro Martino a bocca aperta. Ma questo particolare formato ha un’altra caratteristica: sono infatti poche le paste che, come i bucatini, nell’immaginario del ghiottone italiano si legano esclusivamente ad uno o due condimenti tipici. L’esempio più classico è quello dell’“amatriciana” per la quale se pranzate in un qualsiasi ristorante non solo del Lazio, ma oggi addirittura a New York, dove per questo piatto c’è una particolare attenzione, avendo chiesto un’amatriciana, vi sarà portato davanti un fumante, corretto e profumato piatto di bucatini. […]. La lettura integrale è riservata ai possessori della rivista. Abbonati subito per non perdere il prossimo numero [/hidepost]