Celiachia
7 Dicembre 2007Scoperta una procedura enzimatica per bloccare la tossicità del glutine nei pazienti celiaci. La scoperta può aprire nuove prospettive applicative per l’industria alimentare, anche pastaria, in particolare per le aziende interessate alla produzione di alimenti per celiaci attraverso la reintroduzione di alimenti a base di farine. Ne avevamo dato notiza sul primo numero di Pastaria. Ora approfondiamo l’argomento con questo articolo di Mauro Rossi che ha guidato il gruppo di ricerca del CNR cui si deve la scoperta.
di Mauro Rossi
Una importante novità per le persone affette da intolleranza al glutine è stata recentemente pubblicata sulla rivista scientifica «Gastroenterology». L’articolo fa riferimento agli studi italiani, condotti presso l’Istituto di Scienze dell’Alimentazione del CNR, relativi ad una innovativa procedura enzimatica, effettuata su farine dei cereali, in grado di bloccare la risposta tossica del glutine nei soggetti celiaci.
L’intolleranza al glutine
La celiachia è una delle forme più diffuse di intolleranze alimentari, particolarmente in Europa e America, con una frequenza media stimata dello 0,5% nella popolazione generale. L’enteropatia è caratterizzata da atrofia più o meno completa dei villi del piccolo intestino, con conseguente riduzione delle funzioni digestive e di assorbimento, ed è scatenata dall’ingestione di alimenti contenenti il glutine del grano e proteine analoghe di altri cereali di uso comune quali orzo e segale. La malattia risulta certamente legata anche ad una predisposizione genetica: infatti il 95% dei celiaci esprimono una particolare molecola del complesso di istocompatibilità chiamata HLA-DQ2, mentre il restante 5% ne esprime una analoga, l’HLA-DQ8. Il ruolo di DQ2 e DQ8 risulta fondamentale nella risposta immunologica al glutine, che è alla base della patologia intestinale. L’intolleranza viene generalmente diagnosticata nei primi tre anni di vita, anche se sono in aumento i casi di diagnosi in adulti; vi sono anche individui in cui si può manifestare in maniera del tutto asintomatica. I celiaci possono soffrire di gravi sindromi da malassorbimento, caratterizzate principalmente da diarrea, perdita di peso e ritardo della crescita. Inoltre la celiachia risulta maggiormente frequente nelle popolazioni di soggetti affetti da patologie autoimmunitarie come il diabete, evidenziando così l’esistenza di una relazione tra glutine ed autoimmunità. L’unica strategia terapeutica attualmente riconosciuta valida è la dieta completamente priva di glutine, da seguire per tutta la vita: solo così, infatti, vengono ripristinate e conservate sia la normale struttura anatomica della mucosa intestinale che le sue funzioni digestive e di assorbimento. Il mantenimento della dieta gluten-free deve comunque essere estremamente rigido perché anche tracce di glutine nell’alimento possono essere dannose e non è quindi di facile realizzazione; infatti piccole quantità di glutine sono spesso identificabili in fonti alimentari non sospette. Inoltre la dieta gluten-free rappresenta una restrizione abbastanza forte anche per i problemi psicologici e sociali che comporta. Pertanto, sulla base di queste osservazioni, appaiono giustificati gli sforzi che la ricerca sta compiendo soprattutto in questi ultimi anni per individuare delle strategie alternative. D’altra parte il glutine non può essere eliminato con facilità da alimenti tradizionali quali pasta, pizza, biscotti, etc. perché necessario per le sue qualità tecnologiche, fondamentali per il mantenimento della struttura e per garantire le proprietà di “elasticità” dopo la cottura.
Le possibilità di interventi alternativi sono indirizzate essenzialmente ad abolire l’alterata risposta immunitaria nei confronti del glutine, che numerose evidenze sperimentali indicano alla base del danno intestinale. Infatti, nella mucosa intestinale dei celiaci sono identificabili numerosi linfociti (cellule del sistema immune) che rispondono alla presenza del glutine secernendo molecole infiammatorie. In realtà si è osservato che solo particolari porzioni della molecola di glutine acquistano, nell’intestino del celiaco, la capacità di essere riconosciute dai linfociti ed attivarli. L’acquisizione di questa capacità avviene in seguito a modifiche operate sul glutine dalla transglutaminasi tissutale, un enzima presente nella mucosa intestinale. Tali modifiche consistono nella conversione di specifici residui di glutammina, contenuti nella sequenza amminoacidica del glutine, in acido glutammico.
Il trattamento enzimatico preventivo
Sulla scorta di queste conoscenze immunologiche e biochimiche della patologia, una possibilità di intervento è il blocco preventivo della conversione glutammina –> acido glutammico, arrestando in questo modo la successiva presentazione del glutine ai linfociti e lo scatenamento della risposta immune. Abbiamo pertanto ipotizzato che ciò potesse essere effettuato attraverso un processo enzimatico che consentisse di legare piccole molecole innocue, costituite da lisina metil estere (K-CH3), esclusivamente a quelle porzioni del glutine responsabili dell’attivazione linfocitaria. Questa idea è stata sviluppata utilizzando l’attività enzimatica della transglutaminasi microbica (mTGasi). La conferma sperimentale è stata quindi ottenuta mediante analisi immunologiche effettuate sui linfociti isolati dai pazienti celiaci ed esposti “in vitro” alle molecole di glutine pretrattate.
Un aspetto estremamente interessante per le sue possibilità applicative è emerso successivamente nel corso della nostra ricerca. Infatti abbiamo verificato con esito positivo che è possibile effettuare direttamente il trattamento enzimatico sulla farina con mTGasi e K-CH3, anziché sul glutine estratto, mantenendo la stessa efficacia di blocco della risposta infiammatoria.
La possibilità di intervenire direttamente sulla farina per bloccarne la tossicità può consentire pertanto di aprire nuove prospettive applicative per l’industria alimentare del settore, interessate in particolare alla produzione di alimenti per celiaci, attraverso la reintroduzione di alimenti a base di farine e, probabilmente anche di semole, di frumento, orzo e segale. Sotto l’aspetto tecnologico la procedura utilizza la mTGasi isolata da Streptoverticillium mobarensis, che è un enzima food-grade già utilizzato per la preparazione di alimenti. La mTgasi normalmente catalizza la formazione di “legami crociati” intermolecolari modificando le proprietà funzionali dei prodotti attraverso l’aggregazione e la polimerizzazione di proteine. Per questa sua proprietà la mTGasi viene utilizzata come additivo in diversi processi produttivi di prodotti lattiero-caseari ed a base di carne, pesce e soia. Studi effettuati su prodotti da forno hanno inoltre dimostrato l’utilità del trattamento con mTGasi per migliorarne il volume e la compattezza. Tale trattamento produce però anche l’effetto indesiderato di rendere meno elastico l’impasto. Al contrario, la metodologia messa a punto nel nostro laboratorio riduce la possibilità di legami crociati tra proteine, in quanto l’attività catalitica della mTGasi viene svolta in presenza di K-CH3, un amminoacido modificato che viene utilizzato dall’enzima come substrato in sostituzione delle lisine presenti all’interno di catene peptidiche o proteiche. Di conseguenza abbiamo potuto osservare che solo variazioni minime si verificano nella struttura del glutine. Infine, per quanto concerne l’impatto delle modifiche nel glutine sulla salute umana, è ampiamente riportato nella letteratura scientifica che i nuovi legami, introdotti nella molecola di glutine dalla mTgasi, rimangono intatti nell’intestino ma poi sono eliminati a livello renale. Di conseguenza la procedura proposta appare del tutto sicura in quanto non si accumulano nell’organismo cataboliti che non sono metabolizzabili.
Conclusioni
Il trattamento enzimatico messo a punto consente di modificare preventivamente?le glutammine del glutine coinvolte nella risposta infiammatoria nell’intestino del celiaco. Il procedimento è possibile effettuarlo direttamente sulle farine e, probabilmente, anche sulle semole. La novità del metodo consiste nell’utilizzo di un enzima food-grade, caratterizzato nel nostro laboratorio per le sue proprietà catalitiche, in grado di agire in maniera selettiva sulle glutammine coinvolte nel processo patogenetico. Altro carattere di novità è l’uso di K-CH3: è l’utilizzo specifico di questo amminoacido che, legato alle glutammine dalla mTGasi, consente di annullare completamente il potenziale immunostimolatorio del glutine.
Sulla base dei risultati in vitro sono ora in fase di allestimento gli studi clinici, su popolazioni di pazienti celiaci che verranno sottoposte a trattamento con alimenti a base di farina trattata enzimaticamente. La speranza che i celiaci, una popolazione purtroppo in forte espansione in questi ultimi anni, ripongono nei recenti risultati è notevole, come attestato dalle numerose richieste di informazioni ricevute. In maniera analoga sta crescendo l’interesse delle industrie del settore che credono e sono interessate ad investire in questa innovativa metodologia.
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