Grano duro, in Italia mai così male il raccolto da vent’anni
3 Luglio 2024Crea, l’incertezza intorno al dato finale è legata alla corretta stima delle superfici coltivate e agli sviluppi climatici; compromessi anche gli standard qualitativi. Ma a livello mondiale ci sarà un lieve surplus rispetto ai consumi, grazie al rimbalzo della produzione in Nord America e al risultato record in Turchia. Bene anche Nord Africa, Russia e Kazakistan.
a cura del Centro studi economici Pastaria
Non è andata bene in Europa, soprattutto per la pessima annata in Italia. Ma nel resto del mondo si prevede che ci sarà grano a sufficienza per coprire i fabbisogni di una domanda globale in ulteriore espansione e per lasciare, prevedibilmente, qualcosa in più in magazzino per la prossima stagione.
Secondo le stime del Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, illustrate al Durum Days, il consueto appuntamento annuale della filiera grano pasta, il raccolto di frumento duro scenderà quest’anno in Italia sotto la soglia dei 3,5 milioni di tonnellate, con una flessione di circa il 10-15% rispetto alla media storica e dell’8% su base annua. Un risultato determinato da un calo degli investimenti (superfici seminate) e da una perdita di produttività dovuta soprattutto al deficit idrico nelle regioni del Sud e nelle Isole.
Oltre a una contrazione dei volumi, che potrebbe peraltro rivelarsi più significativa rispetto alle prime valutazioni per il protrarsi di condizioni climatiche avverse nel Mezzogiorno (grandinate in Puglia e siccità in tutti i maggiori bacini produttivi, con evidenze di perdita di resa più marcate in Sicilia, Puglia e parte della Basilicata), si è riscontrata anche una considerevole riduzione della qualità dei grani, in una stagione che ha fatto tra l’altro segnare un netto anticipo delle operazioni di trebbiatura.
Lo scadimento qualitativo (il fenomeno, al pari del calo di resa, non si è avuto al Centro-Nord) ha portato, per la prima volta nella storia, all’aggiunta al listino della Borsa merci di Bologna di una nuova categoria merceologica, con il debutto del “sotto mercantile”. Si tratta di frumenti i cui valori, in termini di contenuti proteici, sono inferiori a 11 punti (contro i 13,5 della varietà fino), destinati pertanto esclusivamente al circuito foraggero.
Si prefigura, sulla base di queste evidenze, una campagna con forti divaricazioni di prezzo, a seconda delle tipologie, per una generale carenza di frumenti milling (adatti alla macinazione per la preparazione di semole da destinare ai pastifici) – che potrebbero spuntare quotazioni significativamente più elevate rispetto al resto del listino – e per un eccesso di grani di qualità scadente, con valori di mercato invece eccezionalmente bassi (a giugno lo spread tra le due categorie, nel capoluogo emiliano-romagnolo, è già stato di oltre 100 euro per tonnellata).
Va anche osservato che nella campagna 2024/25 l’Europa sarà l’unica regione che subirà una perdita di produzione, al contrario di quanto atteso in Nord America, Russia, Nord Africa e Turchia.
Globalmente si prevede addirittura un lieve surplus, come accennato, con un conseguente leggero accumulo degli stock di fine campagna.
L’aumento delle produzione atteso in tutte le principali aree di esportazione e il conseguente rimbalzo dell’offerta globale, dopo il deficit del 2023/24, dovrebbero scongiurare scenari inflattivi nella filiera grano pasta, a meno di sorprese geopolitiche, con il contesto di crisi dei rapporti internazionali che potrà, in caso di peggioramento delle relazioni tra i bue blocchi contrapposti, incidere sui volumi di scambio e sulle quotazioni dei prodotti energetici, anche attraverso ricomposizioni dei rapporti di cambio tra valute.
Le stime dell’Igc, l’Iternational grains council, illustrate nella due giorni del Durum Days, mettono in prospettiva un raccolto globale di 34,6 milioni di tonnellate (+10,4%), contro i 31,3 milioni della scorsa stagione, rivelatasi la più scarsa da vent’anni. Sono tornate a crescere le aree seminate, ma le rese, nonostante il recupero sull’anno scorso, resteranno al di sotto del potenziale e della media storica.
Nei ventisette paesi dell’UE il bilancio produttivo di quest’anno restituisce, stando alle stime dell’Igc, una flessione dell’1,4%, con la prospettiva di un raccolto al di sotto della soglia psicologica dei 7 milioni di tonnellate. Il Canada, dopo il tracollo della scorsa campagna, dovrebbe invece archiviare un robusto più 36%, portandosi a 5,5 milioni di tonnellate, un livello superiore anche alla media dell’ultimo quinquennio, seppure distante dal picco del 2020/21. Double digit anche l’aumento atteso nelle campagne statunitensi (+23,9%, con un balzo record a 2 milioni di tonnellate), mentre in Messico, che completa il quadro dei maggiori paesi esportatori, la produzione dovrebbe scendere a 1,8 milioni, cedendo quasi 9 punti percentuali su base annua.
L’elemento di maggiore novità è rappresentato, tuttavia, dalla buona performance in Nord Africa, area strutturalmente deficitaria e dipendente dalle importazioni, nonché dall’ulteriore crescita produttiva attesa in Turchia (e anche in Kazakistan). Gli analisti britannici stimano, nel Paese della mezzaluna, un massimo storico di 4,5 milioni di tonnellate (+4,7% anno su anno), che assegna ad Ankara la seconda posizione nel ranking mondiale alle spalle di Ottawa, pronosticando contestualmente un 7% abbondante di crescita in Algeria e un ritorno alla normalità in Tunisia, dopo il forte deficit produttivo della scorsa stagione. Negativo invece il bilancio in Marocco, dove la produzione di grano duro dovrebbe ridursi di quasi il 40% a causa della siccità, che ha messo in ginocchio nel Paese tutta l’agricoltura.
Quanto alle esportazioni, quelle di frumento turco resteranno su livelli storicamente elevati ma scenderanno dai picchi della scorsa campagna, per le maggiori pressioni attese quest’anno dal Canada. Complessivamente l’interscambio mondiale di grano duro si attesterà sopra la media pluriennale, mentre gli stock globali a fine stagione, seppure in lieve recupero, resteranno sottodimensionati, dopo aver toccato quest’anno il minimo trentennale.
Il ruolo delle sementi certificate
Tornando all’Italia, per Assosementi – intervenuta al Durum Days – il futuro del grano duro italiano non può prescindere dal sostegno all’innovazione e dall’impiego di seme certificato, elemento imprescindibile – ha spiegato l’associazione dell’industria sementiera – per assicurare la piena salubrità e tracciabilità di produzioni altamente strategiche come la pasta, di cui l’Italia è il primo produttore ed esportatore mondiale. Analogamente, attraverso il sostegno della ricerca e le partnership con la comunità scientifica, sarà necessario rafforzare le azioni di contrasto ai cambiamenti climatici e ai patogeni, una necessità per tutta la cerealicoltura italiana.
Una linea sostenuta anche dal Crea che ha enfatizzato il ruolo della genetica e delle applicazioni digitali, segnalando l’esigenza di stabilizzare rese e standard qualitativi dei grani con l’ausilio delle tecnologie di evoluzione assistita (Tea).
Import imprescindibile, con 2,5 milioni di deficit strutturale in Italia
Italmopa, l’associazione di rappresentanza dell’industria molitoria italiana, ha ricordato che la produzione italiana di frumento duro risulta strutturalmente deficitaria, nella misura del 40%, rispetto alle esigenze quantitative e talvolta qualitative.
Annualmente, il fabbisogno nazionale di frumento duro si attesta sui 6,5 milioni di tonnellate, per lo più destinati all’industria pastaria, mentre in Italia ne vengono prodotti in media circa 4 milioni. I 2,5 milioni di tonnellate mancanti rappresentano il fisiologico fabbisogno di importazioni. Un elemento – ha spiegato Italmopa – che non viene spesso percepito e che porta a “criminalizzare” le importazioni, che costituiscono in realtà un fattore imprescindibile e non alternativo alla produzione nazionale.
Numeri che richiedono una lettura (e un’interpretazione) incrociata con altre evidenze statistiche: la prima in assoluto è quella della spiccata propensione all’export del sistema grano pasta italiano, considerato che il 60% circa della produzione di pasta made in Italy è destinata all’estero, un trend peraltro in costante crescita che assicura un considerevole apporto alla bilancia commerciale agroalimentare. L’altra prerogativa che contraddistingue però il settore primario, ovvero la parte agricola della filiera, è l’eccessiva frammentazione dell’offerta, specchio di una struttura produttiva a sua volta troppo parcellizzata. A valle del sistema si riscontrano inoltre situazioni di inadeguatezza logistica che si riflettono, in taluni casi, in uno scadimento qualitativo della granella immagazzinata. Fenomeni che contribuiscono a limitare la capacità di autoapprovvigionamento, per limiti tecnici di impiego industriale, oltre ad accrescere il ricorso ai grani di importazione soggetti a costanti verifiche da parte delle Autorità di vigilanza e controllo che ne hanno finora dimostrato la rispondenza alle rigide normative comunitarie in materia igienico-sanitaria.
Fonte: IGC