La pasta fresca: aspetti di qualità tecnologia e sicurezza igienico sanitaria del prodotto italiano nel contesto del mercato europeo

1 Agosto 2014 Off Di Pastaria

Speciale: gli atti del Convegno europeo sulla pasta fresca e gnocchi (Venezia, 30 maggio 2014)

di Stefano Zardetto (Quality Assurance and Research & Development Department Voltan S.p.a.)

La pasta fresca è un prodotto “semplice”, il processo produttivo non differisce in modo sostanziale dalle modalità attuate a livello casalingo per la sua preparazione, la cui industrializzazione ha richiesto, però, l’inventiva e la passione di molti imprenditori nonché l’applicazione di tecnologie di cui ancora oggi l’Italia è esportatrice nel mondo.

La pasta fresca ripiena è un alimento facilmente deperibile con un elevato contenuto di umidità (25-35%) e con un valore di attività dell’acqua compreso tra 0,93 e 0,97, la cui conservazione, per una distribuzione differita del prodotto, richiede l’applicazione sinergica di una serie di “ostacoli” allo sviluppo dei microrganismi. È un prodotto infatti, che nasce dall’unione di diverse materie prime (anche 25-30) alcune delle quali, come ad esempio le uova, costituiscono il substrato ottimale per la crescita di molti microrganismi.

Questa tipologia di prodotto differisce dalla pasta secca per una serie di caratteristiche che sono riassunte in figura 1.

 

La legislazione italiana

In Italia la pasta alimentare fresca è regolamentata Decreto del Presidente della Repubblica n. 187 del 09/02/2001, che stabilisce una serie di requisiti che il prodotto deve possedere per essere definito come tale. Gli elementi caratterizzanti sono:

a) un valore di attività dell’acqua inferiore a 0,97;

b) essere stato sottoposto al trattamento termico equivalente almeno alla pastorizzazione;

c) la conservazione alla temperatura massima di 6°C dalla produzione alla vendita.

Se risultano chiari gli obiettivi di sicurezza igienico sanitaria che il legislatore ha voluto conseguire con l’emanazione di tale decreto, un po’ meno evidenti sono invece quelli che lo stesso si è prefisso di raggiungere legiferando in materia di pasta fresca all’uovo. Infatti questa tipologia di prodotto è regolamentata dalla legge n. 580 del 4 luglio 1967 e successive modifiche che stabilisce che la pasta prodotta con l’impiego di uova deve essere posta in commercio con la denominazione di “pasta all’uovo” e deve essere prodotta aggiungendo almeno 4 uova intere di gallina, prive di guscio, per un peso complessivo non inferiore a grammi 200 per ogni chilogrammo di semola. La verifica del contenuto minimo di uova è effettuata attraverso il dosaggio gravimetrico degli steroli totali come digitonidi e il contenuto in grasso dell’estratto etereo (Decreto Ministeriale 23 luglio 1994). Le caratteristiche che la pasta all’uovo deve possedere sono state di recente modificate dal Decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 2013, n. 41 che ha ridotto il contenuto in estratto etereo e di steroli rispettivamente a 2,50 grammi e 0,130 grammi riferiti a cento parti di sostanza secca.

Il contenuto medio di colesterolo per 100 grammi di uovo è nel corso degli anni diminuito risultando via via più basso, probabilmente in ragione del diverso sistema di allevamento o delle diverse metodiche utilizzate per la sua quantificazione (D. Naviglio, 2001). Nel 1994 Guardiola et al. riportavano un valore compreso tra 324 e 392 mg/100 g, nel 2002 Piironen et al. riportavano un valore compreso tra 361 e 370 mg/100 g, mentre di recente Naviglio & Pizzolongo (2006) hanno riscontrato un valore medio di 268 mg/100 g. Partendo da quest’ultimo valore, considerando l’aggiunta minima di legge e un contenuto di steroli nella semola pari a 0,43 g per kg, il contenuto di steroli sulla sostanza secca nella pasta dovrebbe essere pari a 0,125 g/100 g.

Il valore ottenuto risulta inferiore al limite di legge in vigore recentemente fissato a 0,130 g/100 g di sostanza secca.

Tale disposizione legislativa e le relative conseguenze derivanti dalla produzione di prodotti non conformi alla legislazione nazionale destinate al mercato estero risulta vetusta e priva di significato, se non protezionistico e lesivo della libera concorrenza, in un mercato dove sono in vigore norme che obbligano i produttori a riportare in etichettatura i “quid” degli ingredienti caratterizzanti permettendo al consumatore di discriminare tra i diversi prodotti e di effettuare quindi scelte consapevoli.

 

Il processo produttivo

Il processo produttivo della pasta fresca farcita è riassunto, con alcune varianti, nella figura 2 e prevede le seguenti fasi:

• preparazione del ripieno: pesatura, taglio e miscelazione delle materie prime utilizzate;

• preparazione della pasta: dosaggio dei componenti della ricetta per la produzione dell’impasto (automatica o manuale) e loro miscelazione;

• laminazione o trafilazione della sfoglia;

• formatura del prodotto (unione della pasta con il ripieno);

• pastorizzazione del prodotto sfuso (primo trattamento termico);

• incartamento: asciugatura superficiale del prodotto;

• raffreddamento;

• confezionamento in atmosfera controllata;

• eventuale pastorizzazione del prodotto confezionato (secondo trattamento termico).

Come si può notare sono due i trattamenti termici a cui può essere sottoposto il prodotto. Il primo subito dopo la formatura avviene sul prodotto sfuso ed è sempre presente. Il secondo effettuato sul prodotto già confezionato non viene sempre effettuato e richiede, qualora presente, lo spostamento della fase di raffreddamento sul prodotto già confezionato da effettuarsi prima dell’inscatolamento. Il secondo trattamento termico aveva lo scopo di eliminare la possibile ricontaminazione del prodotto tra la prima pastorizzazione ed il confezionamento ed è oggi, per il prodotto fresco, una fase ampiamente superata dalle tecnologie disponibili per il controllo ambientale. Tra processi che presentano un trattamento termico di pastorizzazione semplice ed uno doppio esistono sostanziali differenze, però entrambi presentano vantaggi e svantaggi che sono giudicati a seconda del criterio di ogni produttore. In particolare, un solo trattamento termico protegge le proprietà organolettiche e nutrizionali del prodotto, come pure la sua immagine di prodotto “fresco”. Nonostante ciò, affinché sia efficace esso richiede una ottimale gestione di tutte le fasi successive alla tappa di pastorizzazione con una notevole attenzione alle condizioni igieniche ambientali a valle della tappa (“zone ad alto rischio”) dove solitamente vengono utilizzati ambienti con aria filtrata e sterilizzata. La doppia pastorizzazione è utilizzata con lo scopo di ottenere una distruzione termica più efficiente e di non utilizzare condizioni di sterilità ambientale nelle tappe successive, anche se buone norme igieniche devono comunque sempre essere osservate. Quest’ultima tecnologia è oggi sempre più limitata al prodotto “stabilizzato” che richiede tempi di conservazione generalmente più lunghi.

Il problema della conservazione è stato per molto tempo il principale ostacolo allo sviluppo della pasta fresca. Il prodotto ha infatti, per le sue caratteristiche intrinseche, una durata di qualche giorno a meno di un suo parziale essiccamento che ne altera però le sue caratteristiche qualitative.

 

La pastorizzazione della pasta fresca

Lo sviluppo di adeguate tecnologie di conservazione che mantenessero inalterate le caratteristiche di “freschezza” del prodotto può essere fondamentalmente ricondotto all’applicazione, in tempi diversi, di due soluzioni innovative. La prima introdotta nel 1962 dal Leandro Voltan, è stata l’applicazione, a questo alimento, del processo di pastorizzazione già utilizzato in altri prodotti. [hidepost]

La tecnica “Voltan”, ha permesso di allungare di 20-25 giorni circa la durata di vita della pasta fresca, aprendo così la strada all’industrializzazione del settore (Serventi & Sabban, 2000).

Come vedremo, questa fase nata con l’obiettivo principale di eliminare i microrganismi patogeni e ridurre quelli alteranti, ha però un impatto significativo anche sulla qualità del prodotto ed ha richiesto la necessità, con lo sviluppo della tecnologia, di una sua ottimizzazione per minimizzare gli effetti negativi che essa induce nel prodotto. La seconda rilevante innovazione è stata introdotta nel 1983 da Giovanni Rana con l’utilizzo, fino ad allora non consentito, del confezionamento in atmosfera protettiva del prodotto. Questa seconda innovazione ha permesso di allungare ulteriormente la shelf life del prodotto di altri 30 giorni circa.

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