Le garanzie per gli alimenti: l’uso razionale dei dati
30 Marzo 2010L’articolo invita ad uso razionale dei dati analitici, attraverso l’applicazione del teorema di Bayes, presentato in queste pagine, e ancora assai poco conosciuto tra gli operatori del settore.
di Alfonso Rossi
Di garanzie inerenti ai più diversi requisiti degli alimenti si è scritto e parlato molto negli ultimi anni.
Varie figure professionali hanno dato il loro contributo, spesso teso a offrire concretezza fattuale alle imprese, ma altrettanto spesso indirizzato alla produzione e ricerca di evidenze.
Ci sarebbe moltissimo da dibattere al riguardo ma, molto più modestamente, ci interessa qui focalizzare il discorso su qualche aspetto strettamente tecnico.
Ciò perché ci pare che, davvero troppo spesso, le valutazioni, i giudizi sugli stati di fatto, e perciò le azioni conseguenti, non raggiungano una sufficiente pregnanza.
Talora piccole superficialità vanificano completamente il dispiegamento di ogni tipo di risorsa.
In particolare, ci interessa qui trattare – sia pure molto sinteticamente – l’utilizzo di analisi e, in generale, di dati, sia da parte degli operatori aziendali, sia da parte dei soggetti (clienti, organismi di certificazione, controllori pubblici, ecc.) che, a diverso titolo, valutano le situazioni dei processi e dei prodotti.
Ci sembra che troppo spesso si sia ben lontani da un uso razionale delle informazioni raccolte.
Limitando ancora di più il campo, precisiamo che intendiamo qui fornire un qualche accenno, speriamo stimolante, in merito ai metodi di giudizio connessi alle potenzialità del teorema di Bayes.
Strumento poliedrico, adatto ad affrontare situazioni assai diverse, ci pare sostanzialmente misconosciuto, almeno a livello di applicazione operativa, nel panorama dell’agroalimentare italiano (per una sinteticissima presentazione si veda l’apposito box). [hidepost]
Qui nel seguito proponiamo una trattazione esemplificativa di base relativa agli utilizzi più immediati (ma non per questo meno importanti).
Ci sia permesso cominciare l’esposizione a ruota libera con una affermazione provocatoria: oggi, spesso, le analisi igienico-sanitarie condotte sugli alimenti servono meno di quanto si creda o, nella misura in cui vengono fraintese, addirittura nuocciono.
Perché mai?
Perché il campionamento è in molti casi una operazione complessa, molto impegnativa se davvero si vuole che il campione sia rappresentativo dell’insieme di interesse? Anche per questo.
Perché la quantificazione di alcuni contaminanti è scarsamente ripetibile/riproducibile? Anche per questo.
E molte altre ragioni più che plausibili potrebbero essere addotte.
Tuttavia, l’aspetto che depotenzia le costose attività di controllo analitico e, in non pochi casi, arreca danni di vario tipo, è fondamentalmente un altro: la sostanziale inadeguatezza cognitiva nella interpretazione complessiva della situazione, e quindi le conclusioni e le azioni, fallaci, che ne conseguono.
Specifichiamo fin da subito che ciò che abbiamo illustrato in riferimento alle analisi è, in realtà, applicabile a tutte le situazioni in cui si rileva (o meno) un effetto (E), che si sa essere più o meno legato ad una causa (C).
Pertanto, quanto diremo potrà essere considerato valido, a grandi linee, per tutti i dati di controllo raccolti.
Le attività umane, in qualunque contesto (produttivo, economico, sanitario, legale, ecc.) di qualunque settore (alimentare, chimico, ingegneristico, meccanico, ecc.), sono “sommerse” da rilevazioni.
I dati che sortiscono da tali rilevazioni costituiscono la misura di effetti.
La questione è che la presenza di un certo effetto (o la sua assenza) viene attribuita ad una certa causa (o alla sua assenza) in modo intuitivo, con faciloneria, e perciò spesso sbagliando.
Ciò avviene spesso perché non vengono utilizzate le informazioni e gli strumenti interpretativi adeguati […]. La lettura integrale è riservata ai possessori della rivista. Abbonati subito per non perdere i prossim numeri [/hidepost]