Materie prime per la produzione di pasta funzionale
10 Febbraio 2015La pasta è stata studiata ed in alcuni casi utilizzata dall’industria per veicolare, attraverso la dieta, composti benefici per la salute quali fruttoligosaccaridi, beta-glucani, fibra insolubile, minerali, proteine ed antiossidanti.
di Paola Florio, Roberto Ranieri e Silvia Folloni (Open Fields)
Gli alimenti funzionali possono essere definiti come “qualsiasi tipo di alimento consumato nella dieta abituale che, al di là delle funzioni nutrizionali di base, dimostri di apportare benefici fisiologici”. In particolare, la pasta, che rappresenta un alimento di base per gran parte del mondo, per la sua versatilità, facilità di trasporto, movimentazione, per le proprietà di stoccaggio, la disponibilità in numerose forme e dimensioni, l’alta digeribilità, le buone qualità nutrizionali ed il costo relativamente basso, presenta proprietà strutturali caratteristiche che la rendono una matrice molto adatta all’aggiunta di ingredienti funzionali. Questa è tradizionalmente prodotta a partire da semola di grano duro, ed è considerata un alimento a basso indice glicemico per il lento rilascio di zuccheri durante la sua digestione che riduce la glicemia e conseguentemente la risposta insulinica (Granfeldt et al, 1991). Recentemente la pasta è stata studiata ed in alcuni casi utilizzata dall’industria per veicolare, attraverso la dieta, composti benefici per la salute quali fruttoligosaccaridi, beta-glucani, fibra insolubile, minerali, proteine ed antiossidanti.
Prebiotici e probiotici nella pasta
I prebiotici sono “ingredienti che permettono modifiche specifiche nella composizione e/o attività della microflora intestinale così da conferire benefici per l’uomo”(Gibson, 2004). Una sostanza è definita prebiotica se risponde ai seguenti criteri:
- resistenza ai processi digestivi nella parte superiore del tratto gastrointestinale;
- fermentazione da parte dei microrganismi intestinali;
- stimolazione selettiva dell’accrescimento e/o attività di un numero di batteri favorevoli nel colon, promuovendo così la salute umana.
Il vantaggio più grande dei prebiotici è la loro grande presenza in natura, prevalentemente nella frutta e nella verdura.
Ad oggi, i prebiotici maggiormente studiati per lo sviluppo di paste funzionali sono i fruttoligosaccaridi ed i beta-glucani. Questi fanno parte della fibra solubile. Numerosi studi hanno dimostrato gli effetti positivi sulla salute umana di paste funzionali contenenti prebiotici. Infatti, questi sono in grado non solo di incidere sulla proliferazione della flora batterica intestinale “buona” e quindi di mostrare effetti protettivi che preservano il colon dal rischio di insorgenza di tumore, ma anche di ridurre il tenore di grassi nel circolo sanguigno in quanto inibiscono la sintesi “de novo” degli acidi grassi e l’esterificazione di acidi grassi in triacilgliceroli. Ed ancora, la loro fermentazione porta alla formazione di acidi grassi a corta catena che consente un abbassamento del pH nel lume intestinale migliorando così l’assorbimento dei minerali, fra cui il calcio (Padma and Prabhasankar, 2014).
Pasta con FOS
Tra i prebiotici, i fruttoligosaccaridi (FOS) sono oligosaccaridi del fruttosio (2-9 unità) uniti mediante legami beta-glicosidici (1-2) alla cui estremità è presente un’unità di alfa-D-Glucosio. Sono fibre solubili di grande interesse sia per le loro potenzialità salutistiche, che per quelle economiche, dal momento che risultano 0,4-0,6 volte più dolci del saccarosio. Per questo vengono anche utilizzati nell’industria farmaceutica come dolcificanti (Biedrzycka e Bielecka, 2004).
Questi “dolcificanti/prebiotici” non sono cariogeni, riducono il colesterolo, i fosfolipidi ed abbassano i livelli di trigliceridi nel sangue (Tokunaga et al, 1986). Inoltre favoriscono l’assorbimento intestinale di calcio e magnesio, ed hanno basso valore calorico. Agiscono come prebiotici favorendo la crescita dei bifidobatteri nel colon (Moore et al, 2003) ed inibendo la crescita di microrganismi dannosi per l’intestino, aiutando a ridurre il rischio di tumore al colon. Sono inoltre sfruttati nella formulazione di prodotti per diabetici (Gibson e Roberfroid, 1995; Sanchez et al, 2010).
Paste funzionali arricchite in FOS e fibra possono essere ottenute a partire da miscele di semola e grano duro immaturo raccolto a maturazione lattea e successivamente essiccato. Le cariossidi immature di frumento infatti, rispetto a quelle a maturazione completa, presentano livelli 2-3 volte maggiori di FOS (Escalada and Moss, 1976), livelli maggiori di fibra totale e zuccheri solubili, e presentano proteine con una composizione di amminoacidi essenziali (soprattutto lisina) più equilibrata. Il contenuto proteico totale dei grani immaturi è simile a quello del grano a maturazione, tuttavia i livelli di albumine e globuline sono maggiori, mentre le gliadine e glutenine sono praticamente assenti, questo si traduce in una impossibilità a formare la maglia glutinica. Per la preparazione di pasta è quindi importante formulare miscele di semola e grani duri immaturi che garantiscano il mantenimento della qualità tecnologica. Inoltre l’aggiunta di sfarinati ricchi in FOS alla semola standard modifica il tempo di cottura della pasta che si riduce, diminuisce il grado di gelatinizzazione dell’amido perché i composti particolarmente idrofilici sottraggono acqua all’amido per la gelatinizzazione con conseguente perdita di resistenza alla sovracottura della pasta (Rakhesh et al, 2014). Prototipi interessanti di paste funzionali sono stati ottenuti con miscele contenenti fino al 30% di granella immatura (Pagani et al, 2003; Casiraghi et al, 2013). Il colore della pasta con grani immaturi è condizionato dalla presenza di più zuccheri solubili e dall’aumentata attività alfa-amilasica che causano imbrunimento durante la fase di essiccamento. La qualità di queste paste in cottura è simile a quella della pasta di semola standard. Il contenuto in FOS della pasta dopo cottura si dimezza a causa della solubilizzazione dei FOS nell’acqua di cottura (D’Egidio et al, 2005).
Pasta con beta-glucani
I beta-glucani (o beta-glucani) sono polisaccaridi lineari costituiti da molecole di glucosio unite insieme mediante legami glicosidici beta(1-3) e beta(1-4). Sono i maggiori componenti della frazione solubile della fibra alimentare la quale produce una soluzione viscosa, inibisce il passaggio del chimo attraverso l’intestino, ostacola lo svuotamento gastrico, riduce l’assorbimento di glucosio e steroli nell’intestino ed il colesterolo ematico, il glucosio ematico ed il contenuto di insulina nel corpo. I beta-glucani sono composti importanti per il mantenimento di alcuni parametri biochimici del sangue, sono responsabili della diminuzione del colesterolo totale e LDL e dell’aumento del rapporto colesterolo totale/colesterolo HDL, riducendo il rischio di malattie coronariche e ischemie cardiache (Havrlentova et al, 2011). Tra i cereali, l’orzo e l’avena presentano il contenuto maggiore di beta-glucani. L’Autorità per la Sicurezza alimentare (EFSA) ha approvato alcuni claim salutistici (vedi il box Cosa sono i claim nutrizionali e salutistici) per i beta-glucani di orzo ed avena. Questi claim possono essere utilizzati dall’industria alimentare al fine di comunicare i benefici dei propri prodotti sulla salute dell’uomo. È possibile infatti comunicare che “i beta-glucani contribuiscono al mantenimento di livelli normali di colesterolo nel sangue”. Questa indicazione può essere impiegata solo per un alimento che contiene almeno 1 g di beta-glucani da avena, crusca d’avena, orzo o crusca d’orzo o da miscele di tali fonti per porzione quantificata. L’indicazione va accompagnata dall’informazione al consumatore che l’effetto benefico si ottiene con l’assunzione giornaliera di 3 g di beta-glucani da avena, crusca d’avena, orzo o crusca d’orzo o da miscele di tali beta-glucani. È inoltre possibile utilizzare l’indicazione “i beta-glucani dell’orzo abbassano/riducono il colesterolo nel sangue. Il colesterolo alto è un fattore di rischio per lo sviluppo di patologie cardiache coronariche”. I consumatori devono essere informati che l’effetto benefico si ottiene con un’assunzione giornaliera di 3 g di beta-glucani dell’orzo. L’indicazione può essere utilizzata per i prodotti alimentari che contengono almeno 1 g di beta-glucani dell’orzo per porzione quantificata. Anche l’effetto sulla glicemia post-prandiale può essere comunicato, è infatti possibile dichiarare che “l’assunzione di beta-glucani da orzo o avena nell’ambito di un pasto contribuisce alla riduzione dell’aumento del glucosio ematico post-prandiale”. In questo caso l’alimento deve contenere almeno 4 g di beta-glucani da orzo o avena per ogni 30 g di carboidrati disponibili in una porzione quantificata nell’ambito del pasto. [hidepost]
Esistono già in commercio paste funzionali che si avvantaggiano dei claim approvati sui beta-glucani.
Paste funzionali arricchite in beta-glucani possono essere prodotte a partire da miscele di semola e sfarinati di orzo e/o avena arricchiti in beta-glucani. Questi sfarinati sono ottenuti a partire da orzo o avena mediante macinazione fine (micronizzazione) e successivamente applicando tecniche di frazionamento ad aria che permettono di ottenere frazioni a diversa granulometria caratterizzate da una composizione chimica molto differente tra loro. Mediante classificazione ad aria è possibile ottenere sfarinati di orzo a crescenti livelli di arricchimento in beta-glucani fino al 12-15% con una resa del 30% circa (Ferrari et al, 2009). Nel caso dell’avena è stato dimostrato, anche a livello industriale, che facendo precedere al frazionamento ad aria un trattamento di rimozione dei grassi con CO2 supercritica è possibile arrivare a livelli di arricchimento in beta-glucani maggiori, fino al 33,9% contro al 17,1% in assenza del trattamento di rimozione dei grassi (Sibakov et al, 2011). In funzione della concentrazione di beta-glucani nello sfarinato arricchito, per la preparazione di paste funzionali che possano avvalersi dei claim approvati, queste frazioni si dovranno impiegare in ragione del 15- 20% in miscela con semola di grano duro.
Grazie al progetto “Passworld – pasta e salute nel mondo”, nel 2013 è stata lanciata dal Consiglio per la Ricerca e sperimentazione in Agricoltura (CRA), una pasta funzionale contenente prebiotici e probiotici.
I probiotici sono “organismi vivi che, somministrati in quantità adeguata, apportano un beneficio alla salute dell’ospite” (FAO/WHO 2001, si veda figura 2)
Un microrganismo si può dire probiotico se soddisfa i seguenti requisiti (Morelli et al, 2007):
- è sicuro per l’impiego nell’uomo;
- non è portatore di antibiotico-resistenze acquisite e/o trasmissibili;
- è attivo e vitale a livello intestinale in quantità tale da giustificare gli eventuali effetti benefici osservati in studi di efficacia;
- è in grado di persistere e moltiplicarsi nell’intestino umano;
- è in grado di conferire un beneficio fisiologico dimostrato secondo i criteri riportati nel seguente processo (documento FAO/WHO sulla valutazione dei probiotici per uso alimentare).
Questo prototipo di pasta funzionale è stato realizzato a partire da sfarinati ricchi di vitamine, antiossidanti e proteine di alta qualità, ottenuti da grano duro decorticato e macinato con mulino a pietra, addizionati di un ingrediente ricco in beta-glucani dell’orzo e spore di batteri lattici del gruppo SFLAB (spore forming lactic acid bacteria) in grado di resistere alle alte temperature della cottura per tempi di cottura intorno ai 6 minuti. Si tratta di lattobacilli che, oltre ad esercitare gli effetti benefici comuni alle specie probiotiche di batteri lattici, rimangono vitali per tutta la vita del prodotto: dalla pastificazione alla cottura, fino al transito gestro-intestinale dopo l’ingestione. È attualmente in corso, presso il dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Parma, uno studio su 40 volontari per valutare gli effetti “in vivo” rilevando marker infiammatori, profilo lipidico e glucidico ed effetti sull’ambiente intestinale.
Pasta con aleurone
Nel frumento l’aleurone è lo strato più esterno dell’endosperma amilaceo e costituisce il 5-8% dell’intera cariosside. Tuttavia, poiché con la macinazione resta attaccato allo strato ialino, esso viene allontanato dall’endosperma insieme agli strati più esterni della crusca ed è per questo considerato parte della crusca. Lo strato aleuronico del frumento è composto da un singolo strato di cellule ed è particolarmente ricco in nutrienti: proteine, minerali, fitati, vitamine del gruppo B come niacina e folati, e composti lipidici quali gli steroli (Buri et al, 2004; Hemery et al, 2011; Pomeranz, 1988). L’aleurone fornisce circa il 15% delle proteine totali del grano ed il 30% della lisina totale (primo amminoacido limitante nel grano). Almeno l’80% della niacina totale si trova nello strato aleuronico. Circa il 40–60% del contenuto in minerali è fornito dallo strato aleuronico. Possiamo quindi affermare che esso costituisca lo strato contenente la più alta concentrazione di composti bioattivi, e questo mantenendo un colore più chiaro ed un sapore più dolce rispetto al resto della crusca. L’impiego di frazioni cruscali del grano duro arricchite dello strato aleuronico nella preparazione di pasta può consentire di ottenere paste ad alto contenuto di fibra totale e fonte di minerali quali zinco, fosforo, ferro e magnesio, e vitamine del gruppo B (vitemine B3 e B9), per le quali è possibile utilizzare i relativi claim nutrizionali e salutistici. Per il grano duro, l’isolamento dello strato aleuronico dal resto della crusca avviene soprattutto a partire dal prodotto della decorticazione (tecnica ampiamente diffusa nei molini a duro) seguita da passaggi di frazionamento mediante filtrazione, classificazione ad aria o separazione elettrostatica (Brouns et al, 2012). Molte di queste tecnologie sono state sviluppate grazie ad un progetto europeo di ricerca durato dal 2005 al 2010, chiamato Healthgrain (https://www.healthgrain.org/about_the_project) ed industrialmente validate dal successivo progetto HealthBread (www.healthbread.eu). L’arricchimento così ottenuto consente di produrre frazioni contenenti il 50-70% di strato aleuronico.
Pasta con alto contenuto di amilosio (High Amylose)
L’amido è il componente principale della cariosside di grano ed è composto approssimativamente per il 70-80% da amilopectina e per il 20-30% da amilosio. L’amilopectina è altamente ramificata e risulta un polisaccaride facilmente digeribile mentre l’amilosio forma solo poche ramificazioni dando origine a complessi resistenti alla digestione che mimano il comportamento della fibra alimentare e per questo viene assimilato all’amido resistente.
È in corso di sperimentazione per la produzione di pasta una semola ad alto contenuto di amilosio, ottenuta attraverso tecniche convenzionali di breeding che hanno permesso di ottenere un incremento dell’amilosio fino al 40% (Hazard et al, 2012).
La pasta ottenuta dall’impiego di semole ad alto contenuto di amilosio dovrebbe presentare vantaggi tecnologici e nutrizionali notevoli:
- maggiore tenuta in cottura;
- alta capacità di trattenimento dei grassi, data dalla formazione di una maglia di ponti idrogeno fra le catene di amilosio che creano una cavità apolare in grado di mantenere al suo interno i grassi presenti nella matrice alimentare (tali grassi sono per questo definiti: LAM cioè “lipid amylose complexed”);
- minore digeribilità che si traduce in un maggiore substrato per i batteri utili intestinali ed anche in una riduzione dell’indice glicemico;
- più alto contenuto di fibra totale per la maggior presenza di amilosio che viene quantificato con la frazione “amido resistente”.
Gli studi della genetica dell’amido del frumento duro sono molto recenti, occorreranno alcuni anni ancora prima di vedere la loro applicazione nelle nuove varietà.
Tuttavia, nonostante la pasta ottenuta da grano ad alto tenore di amilosio mostri delle ottime potenzialità sia a livello nutrizionale che tecnologico, oggi risulta di estrema importanza riuscire ad aggiungere all’aspetto funzionale anche il “fattore tempo”, in un’ottica di riduzione della spesa energetica totale di processo/prodotto (Pollini et al, 2012). Per questo motivo, per la formulazione di nuovi ingredienti per la pasta, sono stati presi in considerazione dei grani a ridotto contenuto di amilosio chiamati “waxy”. È infatti possibile ottenere varietà di grano contenenti fino al 100% amilopectina. Queste varietà hanno permesso di ottenere prototipi di pasta con bassa tendenza alla retrogradazione dell’amido che si traduce in una diminuzione della struttura cristallina dell’amido. Questo consente il loro impiego nella produzione di prodotti refrigerati e congelati (Zhang et al, 2013; Graybosch et al, 2003), mentre sulla pasta secca è possibile ottenere prototipi con ridotti tempi di cottura (2-3 min) a parità di spessore della cartella ma con una scarsa resistenza alla sovracottura.
Pasta con proteine
Negli Stati Uniti un esempio molto diffuso di paste arricchite dal punto di vista nutrizionale è quello delle paste proteiche. Ingredienti ad alto contenuto proteico possono essere aggiunti alla semola per incrementare il contenuto proteico dal 12% circa a valori uguali o superiori al 20% e per migliorare il valore biologico delle proteine presenti. Le materie prime di partenza sono in questo caso soia, piselli, fagioli, lenticchie e ceci. A partire da queste materie prime si ottengono farine, farine precotte, concentrati o isolati proteici, utili per la formulazione di alimenti ad alto contenuto proteico. Anche in questo caso, l’aggiunta di questi ingredienti rappresenta un compromesso tra il miglioramento nutrizionale che si vuole raggiungere e le caratteristiche sensoriali e funzionali del prodotto finito. In Italia queste paste sono ad oggi limitate al circuito dei prodotti dietetici a causa delle loro performance in cottura e delle qualità sensoriali che spesso si rivelano più scarse rispetto alle aspettative dei consumatori. Tuttavia, l’interesse verso lo sviluppo di prodotti di questo tipo sta crescendo in Europa per la necessità di aumentare il consumo di proteine alternative a quelle animali nella dieta umana. Questa necessità vuole far fronte ad una crescente domanda di proteine a livello mondiale (FAO, 2011). L’aumento della produzione di proteine animali risulta difficile poiché già vicina alla sua capacità massima, e neppure desiderabile dal punto di vista ambientale, dal momento che gli animali non sono convertitori sostenibili ed efficienti dell’energia che consumano (FAO, 2011). Inoltre, la sostituzione di proteine animali con altre fonti proteiche, incluso le proteine vegetali, sembra associata ad un minore rischio di mortalità (Pan et al, 2012). [/hidepost]
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