Osservatorio prezzi 3/2015
22 Ottobre 2015La rubrica quadrimestrale di Pastaria sui prezzi delle principali materie prime impiegate dai pastifici.
a cura del Centro studi economici Pastaria
Le materie prime alimentari confermano, nelle sale di contrattazione internazionali, la dinamica negativa dei mesi scorsi, pur mostrando una maggiore volatilità correlata ai listini di alcune commodity. Potrebbe emergere, in prospettiva, un andamento più discontinuo dei corsi, anche nell’ottica del breve termine. Ma la tendenza, per lo meno quella di fondo, dovrebbe restare di marca ribassista, migliorando, attraverso un ulteriore taglio dei costi di produzione, le condizioni di operatività delle imprese.
Qualche sorpresa si è avuta per le anomalie climatiche di quest’estate, con l’ondata di caldo eccezionale che ha colpito buona parte dell’Emisfero settentrionale. Anomalie che hanno innescato un inatteso rimbalzo dei prezzi sul mercato del frumento duro (e conseguentemente delle semole), materia prima di base per l’industria pastaria. Dopo una fiammata iniziale che aveva fatto temere il peggio, anche in Italia, dove i nuovi raccolti hanno deluso le attese nel risultato quantitativo, i prezzi hanno invertito il percorso intrapreso, interrompendo una spirale rialzista che avrebbe potuto proiettare i listini verso la soglia psicologica dei 400 euro per tonnellata.
Così non è stato, con i valori adesso posizionati sotto i 340 euro al fixing di Foggia, mercato benchmark in ambito nazionale. Si tratta di un prezzo comunque vicino ai “livelli di guardia”, a giudizio dei pastifici, che nei rapporti con la grande distribuzione temono un ulteriore schiacciamento dei margini, in una fase peraltro di prolungata debolezza dei consumi finali e di graduale rallentamento dell’export.
Preoccupano anche i fondamentali: il mercato del grano duro parte quest’anno penalizzato da scorte ben inferiori alla media storica. Con poco più di 5 milioni di tonnellate di “magazzino” lo stock to use ratio (il rapporto tra stock finali e consumi) non arriverà quest’anno al 15%, secondo gli analisti, un livello molto basso, considerando che storicamente si colloca ben oltre la soglia del 20%. Non è chiaro, in particolare, quale sarà l’esito dei raccolti canadesi (Ottawa è il primo produttore ed esportatore mondiale), in previsione di forti perdite riconducibili alla siccità e al caldo torrido di luglio. In Usa, a contrario, emerge un quadro decisamente più favorevole, con qualità e rendimenti in netto miglioramento e prospettive di crescita sostenuta rispetto all’ultima annata. Piuttosto composito il bilancio dei raccolti europei, deludente in Italia, come accennato, e inferiore alle attese sia in Francia che nelle campagne spagnole.
Il ciclo ribassista sui mercati agricoli, che incorpora soprattutto il pesante ritracciamento sperimentato nel comparto lattiero-caseario e in quello delle carni (ma che potrebbe invertirsi se a fine anno El Niño dovesse causare le alterazioni climatiche previste dai meteorologi), si inserisce in una scia negativa che accomuna, ormai da tempo, tutte le principali commodity industriali, dai metalli ai prodotti energetici. Agosto ha accentuato un fenomeno che aveva già assunto caratteristiche piuttosto evidenti a inizio estate. A complicare la situazione sono stati più di recente lo scoppio della bolla finanziaria cinese, che potrebbe anticipare una più drastica frenata dell’economia del Dragone, e le turbolenze sui mercati valutari che stanno dando filo da torcere soprattutto ai Paesi emergenti (Russia inclusa), già duramente colpiti dal tracollo dei prezzi delle materie prime di cui sono tradizionali esportatori.
Le condizioni deflattive sui mercati delle commodity hanno nel frattempo trascinato sotto i 45 dollari/barile il prezzo del petrolio estratto nel Mare del Nord e sotto la soglia dei 40 dollari il riferimento del Texas.
D’altro canto il brusco stop delle importazioni cinesi (peraltro associato a un’offerta eccedentaria e alla prospettiva di un ulteriore incremento della produzione di greggio con la ripresa delle trivellazioni in Iran) ha già innescato effetti a catena sui mercati internazionali. Lo stesso vuoto di domanda ha originato il tracollo dei prezzi delle commodity casearie. Né si intravvedono miglioramenti nel breve termine, salvo sporadiche eccezioni, con prospettive (e rischi) adesso più tangibili di avvitamento dell’economia globale.
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