Se dici agnolotti, dici Piemonte
20 Luglio 2010Tra storia e leggenda, un breve viaggio nella pasta ripiena piemontese.
di Oretta Zanini De Vita
Se parlate con un piemontese doc, vi dirà che gli agnolotti sono nati nella sua terra e difficilmente potrete convincerlo del contrario perché, ben documentato, vi racconterà la storiella della locanda di Gavi gestita dalla famiglia Raviolo dove appunto la moglie del titolare usava servire questa curiosa preparazione gastronomica. Ci troviamo, durante il XII secolo, nel marchesato di Gavi terra di passaggio tra il nord e Genova, per la quale transitano pellegrini e soprattutto mercanti. Qui il buon locandiere usava servire agli ospiti dei ravioli farciti di formaggio ed erbe profumate. Non avevano carne nel ripieno, la carne era un ingrediente troppo prezioso per essere utilizzato in una farcia; questa verrà aggiunta secoli dopo. La storiella se non è vera, è almeno bene inventata. Non che i ravioli non potessero essere diffusi con il loro prezioso ripieno di formaggi o ricotta, poiché, in realtà, questo tipo di pasta era in quel momento ben diffusa in tutto lo Stivale, con diversi e variati ripieni. A Gavi oggi dei discendenti del signor Raviolo non pare ci sia traccia, ma il raviolo, quello sì, è un piatto che i buongustai gaviesi condiscono con il “tocco di carne alla genovese” e qualcuno li ama addirittura bagnati nel vino.
Da dove dunque sono arrivati a noi questi ravioli/tortelli/agnolotti? Ebbene, ci viene in aiuto un certo Giambonino da Cremona, il cui nome è già tutto un programma, il quale nel tradurre un ricettario arabo dell’XI secolo, alla voce “sambusaj” descrive un raviolo triangolare farcito di carne e spezie che suggerisce appunto di chiamare raviolus o calison (e qui il riferimento agli antichi ravioli chiamati cjalson in Friuli è ben chiaro). Sarà dunque ancora una volta la terra di Sicilia a far partire, a bordo delle navi delle repubbliche di Genova e Pisa non solo la pasta secca ma probabilmente anche a diffondere oralmente questo tipo di preparazione. [hidepost] Fu piatto ricco ovunque, e nei secoli successivi i grandi cuochi di casata lo trasformarono nel formato e nel ripieno; ancora nel Duecento si potevano mangiare non avvolti nella pasta ed erano semplicemente una sorta di polpettine confezionate con formaggio e spezie che venivano serviti in un buon brodo di cappone. Da quel momento, e per i secoli a venire, li troviamo anche nei ricettari a stampa, affogati in un buon brodo […]. La lettura integrale è riservata ai possessori della rivista. Abbonati subito per non perdere il prossimo numero [/hidepost]