Piatti pronti a base pasta in conservazione: due casi studio
3 Gennaio 2014La quantificazione e la comprensione dei cambiamenti chimico-fisici che influenzano le diverse fasi dei piatti pronti durante la conservazione rappresentano una sfida per i ricercatori in materia. Cercare di capire i meccanismi coinvolti ai diversi livelli di struttura e fornire evidenze scientifiche dei fenomeni in gioco diventa necessario e fondamentale per intervenire in maniera intelligente sulla formulazione e/o sul processo di produzione al fine di aumentare la qualità e la shelf-life di questi prodotti.
di Elena Curti (Centro interdipartimentale Siteia, Università di Parma) e Eleonora Carini (Università San Raffaele Roma)
La pasta è un alimento italiano molto conosciuto e il suo consumo è ovunque diffuso. Negli ultimi dieci anni, la produzione di pasta è aumentata, a livello globale, da 7 a 12.000.000 tonnellate/anno, grazie all’aumento dei piatti a base di pasta presenti nei fast food e in altri ristoranti simili.
I piatti pronti, o “convenient foods”, o piatti ready-to-eat, sono diventati un segmento importante del mercato globale alimentare e la loro rilevanza è destinata a crescere. Infatti, le proprietà più importanti che li caratterizzano, ossia la loro facilità di consumo, il breve tempo di preparazione e l’assenza di ulteriori manipolazioni “domestiche”, rappresentano caratteristiche estremamente apprezzate dal consumatore.
Il mercato internazionale offre una vasta gamma di piatti pronti a base di pasta, creati seguendo abitudini culturali e tradizioni locali. La maggior parte dei piatti disponibili sul mercato sono prodotti refrigerati, surgelati, stabili a temperatura ambiente (perché precedentemente sottoposti ad un processo di stabilizzazione) ed in genere, prima del consumo, richiedono un riscaldamento in un forno a microonde oppure in un forno tradizionale.
L’industria alimentare ha e sta cercando di aggiungere servizi a queste tipologie di prodotti, sia sviluppando nuove formulazioni, che possono essere considerate più “sane” (per esempio prodotti per vegetariani, utilizzo di sfarinati integrali, a basso contenuto in sale), sia cercando di aumentare ancor di più il grado di servizio (riducendo il tempo di preparazione pre-consumo, piatti pronti da asporto consumabili alla scrivania).
I piatti pronti a base pasta vengono generalmente prodotti attraverso la cottura di una fase “pasta” e di una fase “sugo”. Durante il processo le due fasi possono essere già assemblate, oppure separate tra loro. Il prodotto viene poi sottoposto ad un processo di stabilizzazione, che può essere, come abbiamo visto prima, di varie tipologie e fungere contemporaneamente o meno, da processo di cottura.
La coesistenza di due fasi fisiche come sono la pasta e il sugo, con parametri di attività dell’acqua, composizione e consistenza estremamente diversi tra loro, e le modificazioni a cui sono soggetti durante la conservazione, rendono questi alimenti prodotti “dinamici”. La loro qualità infatti cambia in modo negativo nel tempo perché si osservano, soprattutto, modificazioni strutturali di consistenza che ne diminuiscono l’accettabilità da parte del consumatore. I ready-to-eat a base pasta sono caratterizzati non solo dalla presenza di elevati contenuti d’acqua (essendo prodotti cotti), ma anche da gradienti di umidità tra le diverse fasi del prodotto che li rendono instabili e inclini a modificazioni. Migrazione macroscopica di acqua tra pasta e sugo, ridistribuzione di acqua a livello molecolare tra i diversi componenti quali glutine, amido e altri soluti, così come cambiamenti strutturali di fase (ricristallizzazione dell’amilopectina) sono alcuni dei fenomeni che contribuiscono all’“invecchiamento” di questi prodotti. La quantificazione e la comprensione dei cambiamenti chimico-fisici che influenzano le diverse fasi dei prodotti durante la conservazione rappresentano una sfida per i ricercatori in materia. Cercare di capire i meccanismi coinvolti ai diversi livelli di struttura e fornire evidenze scientifiche dei fenomeni in gioco diventa necessario e fondamentale per intervenire in maniera intelligente sulla formulazione e/o sul processo di produzione al fine di aumentare la qualità e la shelf-life di questi prodotti.
In queste righe si vogliono passare in rassegna alcune recenti pubblicazioni presenti nella letteratura scientifica che riportano studi riguardanti modificazioni chimico-fisiche di piatti pronti a base pasta durante la conservazione.
Per i primi due lavori (Olivera and Salvadori 2009 e Olivera and Salvadori 2011) si riportano risultati riguardanti tagliatelle congelate, mentre per il successivo lavoro (Carini et al., 2013) si parlerà di fusilli all’arrabbiata cotti e stabilizzati a microonde.
Di tutti i processi di stabilizzazione, il surgelamento è stato riconosciuto come un eccellente metodo per preservare le caratteristiche qualitative degli alimenti. Olivera e Salvadori nel 2009 hanno pubblicato dei risultati relativi all’effetto di due diversi tempi di congelamento (18 min e 68 min) su alcune caratteristiche di tagliatelle precedentemente cotte. Sono stati misurati parametri di consistenza (Texture Analyzer, test TPA, sonda cilindrica in alluminio P/25) sulla singola tagliatella, parametri reologici (Reometro equipaggiato con sonda a piatti paralleli PP35/S) come G’, G’’ e tan ? (indice di comportamento elastico, viscoso e complesso, rispettivamente) e parametri sensoriali (test di accettabilità con 30 panelisti semi-addestrati). I risultati hanno confermato che entrambi i tempi di congelamento danneggiavano dal punto di vista strutturale proprietà come elasticità, durezza e capacità di trattenere acqua (water holding capacity). Il congelamento rapido ha però alterato in minor misura questi parametri. Inoltre è stata osservata una diretta relazione tra la velocità di congelamento e i parametri di consistenza misurati. I risultati dell’analisi sensoriale hanno invece evidenziato che le tagliatelle sottoposte al congelamento lento hanno avuto punteggi inferiori per flavor e consistenza, i quali hanno influenzato negativamente l’accettabilità complessiva. Questi parametri sono risultati inoltre in accordo con le variazioni misurate strumentalmente.
Gli stessi autori hanno pubblicato nel 2011 (Olivera and Salvadori 2011) un altro lavoro riguardante alcuni attributi di qualità come consistenza, colore, proprietà reologiche e accettabilità sensoriale di tagliatelle cotte e congelate (con un congelamento veloce e uno lento) durante un periodo di conservazione di 12 mesi. Il contenuto d’acqua è risultato diminuire in modo significativo nei primi 4 mesi di conservazione, indipendentemente dalla tecnologia di congelamento utilizzata e, in media, dopo 12 mesi è stata osservata una perdita di acqua pari al 6%. La durezza misurata è diminuita nei primi due mesi per poi rimanere costante fino alla fine della conservazione. Inoltre, l’effetto del minore “danneggiamento” del prodotto da parte del congelamento rapido è stato mantenuto solo per i primi 2 mesi.
Per quanto riguarda l’analisi sensoriale, l’attributo di apparenza (relazionata al colore superficiale) è diminuito tra il secondo e il quarto mese e tra l’ottavo e il decimo mese di conservazione…
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