Buona, sana e sostenibile: la pasta al World pasta day di Istanbul
10 Gennaio 2014Come ogni anno, il 25 ottobre si è celebrata la Giornata mondiale della pasta. La recente edizione si è svolta a Istanbul, in Turchia. Delegati ed esperti da tutto il mondo si sono confrontati sul ruolo della pasta come alimento sano, gustoso e sostenibile.
Buona, sana. E sostenibile. È la pasta celebrata al World Pasta Day, la giornata dedicata all’alimento dal cuore italiano che si è tenuta lo scorso 25 ottobre a Istanbul, in Turchia.
A scambiarsi idee, strategie e punti di vista in un grande convegno dal titolo «Pasta: the sustainable, healthy and delicious food» sono stati produttori, economisti, opion leader, media e nutrizionisti di tutto il mondo. Al centro del dibattito, ovviamente, la pasta. Non solo affrontata dal punto di vista del palato e della salute, dunque, ma anche da quello della sostenibilità. E inserita in un quadro internazionale che sempre più riconosce il valore del prodotto.
L’incontro, in cui hanno preso la parola una decina di esperti, è stato organizzato dall’Associazione degli industiali pastai della Turchia (TMSD) in collaborazione con l’IPO – International Pasta Organization (www.internationalpasta.org), che per l’occasione si è riunito nell’assemblea generale annuale. L’Ipo è una specie di “Onu della pasta” che dal 2005 – anno della sua fondazione – si impegna nella promozione del consumo di pasta nel mondo e nella diffusione della sua cultura. Attualmente ne fanno parte 25 membri in rappresentanza di 18 Paesi: Argentina, Belgio, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Francia, Guatemala, Iran, Italia, Messico, Portogallo, Spagna, Turchia, Stati Uniti, Uruguay e Venezuela. Ai diversi stati si aggiungono due federazioni europee (Unafpa e Semouliers). Mentre presidente dell’organismo è Claudio Zanão, anche presidente di Abima, l’associazione brasiliana delle industrie della pasta, la segreteria generale è curata da Aidepi, Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane. Segretario generale è Raffaello Ragaglini, segretario onorario di Unafpa. «Grazie a questa organizzazione – dice Ragaglini – è stato possibile assicurare il coordinamento delle attività di comunicazione a livello internazionale in favore e a salvaguardia del prodotto pasta e della sua immagine. Con il supporto di tutti i membri siamo pronti a proseguire con sempre maggiore determinazione la strada intrapresa per affermare il principio che la pasta, oltre ad essere gustosa nella sua semplicità, rappresenta una scelta alimentare valida ed economicamente accessibile e sostenibile».
Ipo negli ultimi anni ha organizzato diversi incontri e giornate di lavoro, presentato brochure e lanciato progetti per rafforzare la conoscenza della pasta. A supporto delle sue attività ha anche costituito uno Scientific Advisory Commitee composto da esperti riconosciuti nei settori della produzione della pasta, della medicina e della scienza dell’alimentazione. Ne fanno parte 25 esperti da 17 diversi Paesi.
Fra assemblee, relazioni e gusto
Durante la giornata, oltre a tenersi l’assemblea generale annuale dell’Ipo riservata ai soli membri dell’organizzazione, sono intervenuti esperti di molti settori. In particolare, è stato dato risalto al mercato delle materie prime e dei consumi a livello internazionale, agli aspetti nutrizionali ed al tema della sostenibilità.
È stata inoltre dedicata una sessione al gusto. A parlare di pasta sotto il profilo gastronomico è stato lo chef Vedat Basaran, noto esperto di cucina ottomana e turca, che è intervenuto sul connubio tra pasta e tradizioni culinarie locali.
Parola d’ordine: sostenibilità
Alla giornata dedicata alla pasta, grande rilievo è stato dato alla sostenibilità. Pochi prodotti, infatti, possono definirsi sostenibili come la pasta.
Partiamo dalla coltivazione del frumento duro: le aziende più all’avanguardia si rifanno a tecniche tradizionali come la rotazione colturale dei campi, con basso impatto ambientale e ottima resa qualitativa, limitando per esempio l’uso di fertilizzanti chimici. Passando alla produzione, l’impronta di carbonio Co2 dal campo alla tavola si attesta al di sotto del 15%. In più, il consumo di acqua è limitato (10 litri d’acqua per un chilo di pasta) e i numeri si rimpiccioliscono ogni anno grazie a molti progetti aziendali di riduzione dei consumi. Consideriamo, poi, che la materia prima non richiede – salvo eccezioni – di essere irrigata. Il packaging, inoltre, è quasi sempre in cartone o in film plastico, permettendo un recupero al 100% del materiale di imballaggio, e sempre più aziende indicano nell’etichetta simboli e riferimenti grafici per suggerire la corretta modalità di smaltimento della confezione dopo l’utilizzo. L’impronta ecologica, un indicatore che permette di misurare la sostenibilità, di una porzione di pasta di 80 grammi è stato infine calcolato essere pari a 1 m² globale di consumo di terreno biologicamente attivo.
«Attraverso l’analisi del ciclo di vita di prodotto si può stimare che oltre il 60% dell’impronta ecologica della pasta, peraltro molto bassa, deriva dalla coltivazione in campo del grano duro – spiega Luca Fernando Ruini – direttore del comparto Salute, Sicurezza e Ambiente della Barilla e rappresentante del Barilla Center for Food and Nutrition. – Questo ci ha spinto alla ricerca delle pratiche ritenute maggiormente sostenibili scoprendo che le tecniche tradizionali di coltivazione quali le ben note rotazioni colturali, affiancate da nuovi strumenti previsionali sul web, consentono una riduzione degli impatti ambientali, ma anche l’ottimizzazione dei costi di produzione con potenziali significativi vantaggi per gli agricoltori. Infatti abbiamo rilevato una riduzione superiore al 30% delle emissioni di Co2, un aumento del 20% delle rese di produzione, ma anche – e questa è stata una piacevole sorpresa – una riduzione anche del 30% dei costi per l’agricoltore. Ciò è avvenuto grazie ad un uso più mirato dei fertilizzanti e ad un’ottimizzazione dei trattamenti fitosanitari».
Ruini, nel corso dell’incontro, ha mostrato due piramidi alimentari: quella ormai nota legata al cibo e alla dieta mediterranea, e una seconda “ambientale”, che mostra quanto ogni alimento impatta sull’ambiente. La pasta, nella struttura gerarchica, si posiziona nella terza fascia meno impattante. Sopra di lei, altri quattro scalini. Si sono poi messe a confronto anche le “impronte” ambientali di diversi alimenti (quanti grammi di Co2 sono stati prodotti per chilo o litro di prodotto? Quanti i litri consumati?). Si è anche discusso di come utilizzare tecniche di coltivazione alternative, risparmiare energia sui processi di produzione, utilizzare fonti di energia rinnovabile, puntare sul packaging riciclabile e migliorare la logistica. Ruini non ha mancato di elencare quelli che sono i paradossi del cibo e della nutrizione. Il primo: 36 milioni muoiono per la mancanza di cibo, 29 milioni per cibo in eccesso. Il secondo: sempre più terra viene sfruttata per produrre biocarburanti. Significa che se analizziamo la produzione di grano, scopriamo che questo servirà sempre meno a nutrire l’uomo (-3.9% al 2020), e sempre più a nutrire bestiame (+2,1%) e auto (+15%).
Terzo paradosso: ogni anno 1,3 miliardi di tonnellate di cibo vengono gettate nella spazzatura, e servirebbero a sfamare quattro volte chi ne ha bisogno…
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