Contaminazione microbica

6 Dicembre 2007 0 Di Pastaria

La contaminazione microbica rappresenta un rischio col quale tutti i produttori di pasta, e più in generale tutti gli operatori del settore alimentare, devono fare i conti. Pubblichiamo un articolo che fornisce alcuni suggerimenti pratici sul come tenere sotto controllo questo rischio, indica i principali punti critici del processo di produzione e individua i più corretti indici di igiene.

di Giovanni Gozzi

Valutare quali microrganismi ci sono nella pasta è una esigenza che tutti gli operatori del settore dovrebbero porsi, se già non lo hanno fatto. Il quesito non è affatto retorico. Facendo riferimento al Regolamento 2073/2005 CE, che definisce gli obblighi di tipo igienico-sanitario in campo alimentare, sembrerebbe che solo Salmonella e Listeria monocytogenes siano i microrganismi patogeni da tenere sotto controllo. In un laboratorio di produzione di pasta, un’analisi del rischio più approfondita e ben condotta, invece, dovrebbe tenere in considerazione anche l’eventuale presenza di altri microrganismi, non necessariamente patogeni, legati alle materie prime e agli ingredienti utilizzati (e quindi alla tipologia di prodotto: pasta fresca, secca, all’uovo, farcita), ma anche e soprattutto alla prassi operativa del personale, ed infine alle modalità di confezionamento adottate.
Le materie prime e gli ingredienti
Le materie prime e gli ingredienti utilizzati nel processo di produzione costituiscono una possibile fonte di contaminazione microbica. Veicolati dalle materie prime possono essere presenti microrganismi come Clostridium perfringens e Clostridium botulinum, Bacillus cereus e muffe come Cladosporium, Aspergillus, Fusarium e Alternaria, che in determinate condizioni possono produrre micotossine. I contaminanti sono ancora più numerosi di quelli citati se consideriamo le paste all’uovo e quelle farcite, dove ogni ingrediente apporta la sua specifica flora microbica (per l’uovo ci limitiamo a citare gli stafilococchi, per i formaggi freschi la possibile presenza di brucelle e micobatteri). Le varie paste farcite possono presentare una microflora assolutamente atipica rispetto alla classe merceologica di appartenenza, da ricondurre all’utilizzo di ingredienti particolari, come ad esempio il pesce (che può comportare la presenza di Vibrio, nei molluschi lamellibranchi, o di Listeria monocytogenes, nei salmoni, in particolar modo se affumicati).

Le attrezzature e gli ambienti di lavoro

Oltre alle materie prime, altra fonte di possibile contaminazione è rappresentata dalle attrezzature, dalle macchine e dagli ambienti di lavoro. Per questo riveste una particolare importanza l’operazione di pulizia, detersione e sanificazione, troppo spesso sottovaluta, eppure determinante per l’igiene ed il successo commerciale di qualsivoglia prodotto alimentare.

Il citato Regolamento 2073/2005 CE ha correttamente definito quale indice di igiene il solo Escherichia coli, escludendo, se non in casi particolari, i coliformi o gli enterobatteri che hanno scarso significato nel settore alimentare, benché mantengano un certo valore per le analisi delle acque. Occorre poi aggiungere che risulta inutile ricercare un indice d’igiene come gli enterobatteri se contemporaneamente viene effettuata la ricerca del microrganismo che degli enterobatteri è l’indice, ossia la Salmonella: equivarrebbe a fare due volte la stessa cosa, senza alcun beneficio.

La procedura corretta sarebbe, quindi, ricercare gli enterobatteri sui tamponi ambientali o sui vari indici di processo e la Salmonella solo sui prodotti finiti, perché se non possono esserci salmonelle in assenza di enterobatteri non è detto che l’indice comporti la matematica presenza del microrganismo bersaglio. Si deve pertanto procedere con la ricerca degli enterobatteri come famiglia tassonomica di valore igienico sanitario, della Salmonella come patogeno nel campo di applicazione specifico della ricerca sull’alimento considerato.

Prassi operativa del personale

Anche le modalità di lavoro del personale possono portare alla contaminazione microbica dell’alimento prodotto. Se è vero che l’uso di una buona tecnologia e l’adeguata preparazione del personale addetto possono ottenere ottimi risultati, anche da materie prime di non eccelsa qualità, è altrettanto vero che maestranze svogliate e sciatte possono pregiudicare materie prime di buona qualità e programmazione tecnologica di alto livello scientifico, per il mancato rispetto anche solo di quei semplici accorgimenti che stanno alla base di una corretta produzione di alimenti.

Solo due casi per esemplificare il concetto: l’utilizzo di guanti non è una barriera efficace contro tutte le insidie che microrganismi patogeni (stafilococchi o Salmonella), trascuratezza (soffiarsi il naso senza lavarsi poi le mani e cambiare i guanti) o incuria (non lavarsi e non cambiare i guanti dopo l’utilizzo dei servizi igienici), possono presentarsi nello svolgimento lavorativo. Il secondo esempio è la difficoltà di ottenere la sparizione di tutti quei monili, come orologi, bracciali ed anelli, dagli operatori. Sono tutti interventi per ottenere sicurezza igienica (protezione da microrganismi potenzialmente pericolosi, se si verificano abitudini reiteratamente errate) ma anche salvaguardare l’incolumità personale (se si è stanchi, con lavori a ritmi stressanti, è molto facile impigliarsi in organi in movimento, con conseguenze immaginabili).

Il confezionamento

Per ultimo in ordine di esposizione ma non di importanza il confezionamento: se esso consiste in un semplice preincarto per pasta fresca, le nostre preoccupazioni si dovranno rivolgere ai microrganismi aerobi (ovvero che necessitano di ossigeno per la loro sopravvivenza) come Salmonella o Bacillus cereus per i microrganismi patogeni e ai batteri lattici per gli alterativi, sicuramente non a quei microrganismi che esigono un ambiente anaerobico (ossia privo di aria, e quindi di ossigeno) come i clostridi. Questi ultimi possono dare molti problemi nel caso di paste all’uovo o farcite conservate sotto vuoto o in atmosfera modificata, in particolare per lunghi tempi di conservazione.

Va inoltre precisato che la surgelazione di un prodotto alimentare non diminuisce il numero di microrganismi presenti nell’alimento, ma li blocca solamente nel loro stato al momento del trattamento.

I microrganismi non patogeni

Fatta una panoramica delle problematiche lungo la filiera e all’interno delle singole fasi, con l’accento sugli aspetti igienico-sanitari e quindi dei batteri patogeni, è utile riprendere il discorso iniziale sui batteri non patogeni. Con la materia prima fondamentale rappresentata dagli sfarinati (semola, semolato, farine), il principale gruppo di microrganismi non patogeni ma alteranti è dato dai batteri lattici, con i generi Lactobacillus, Leuconostoc e Streptococcus a rappresentare più dell’85% della flora microbica presente. Il carico di questi microrganismi può anche superare i 200 milioni per grammo. Questi batteri lattici sono di difficile classificazione perché non sono implicati in maniera diretta nella tecnologia del prodotto e il loro studio approfondito è pressoché inesistente in letteratura, a differenza di quanto accade nel campo caseario, delle carni conservate o degli insilati. Le loro conseguenze sul prodotto finito non sono di carattere sanitario, ma organolettico e tecnologico: con una presenza di batteri lattici elevata la pasta difficilmente sta assieme e può facilmente presentare un sapore acido, con le ovvie spiacevoli ricadute sul piano commerciale. Un altro microrganismo che ha anche implicazioni sanitarie è lo stafilococco, che di per sé non è patogeno, ma a determinate condizioni può produrre un’enterotossina, raramente mortale, che rappresenta un indice igienico di particolare rilevanza. Il problema si accentua nel caso di pasta all’uovo, di cui lo stafilococco è un naturale contaminante, con sviluppi che possono arrivare alle soglie di rischio di 100.000 unità formanti colonia per grammo, ovvero una quantità sufficiente per la produzione dell’enterotossina. Non è però detto che la presenza di tanti stafilococchi comporti necessariamente la produzione di enterotossina: pur tuttavia tale numero rappresenta una ragionevole soglia di rischio. La capacità di produrre enterotossina è caratteristica di differenti specie di stafilococchi. Le condizioni perché si possa formare l’enterotossina sono relativamente definite, ma poca importanza viene data a questo aspetto. Definita una soglia di attenzione, è di fondamentale importanza stabilire la presenza o l’assenza di tossina in quantità sufficiente a provocare sintomatologia (in condizioni ordinarie, tale quantità dovrebbe essere di 1 nano grammo per grammo di sostanza).

In un piano di autocontrollo efficace e correttamente impostato, dovranno essere valutate attentamente le possibili conseguenze della carica microbica sul prodotto finito, monitorata costantemente al fine di mantenerlo in condizioni non solo igienicamente sicure, ma anche tecnologicamente e qualitativamente rispondenti alle aspettative del pastaio.

La cottura e i suoi effetti

Prima di essere consumata, la pasta viene necessariamente sottoposta alla cottura, che la bonifica da tutti i microrganismi pericolosi per la salute umana (Salmonella, Listeria monocytogenes, Staphylococccus aureus e specie correlate), e da altri microrganismi come i batteri lattici considerati in precedenza. Qualche attenzione o preoccupazione in più si dovranno avere per quei formati di pasta i cui tempi di cottura consigliati (da 1 a 3 minuti) potrebbero essere insufficienti ad una bonifica adeguata, nell’eventualità di presenza di microrganismi patogeni. Ciò non significa che sia irrilevante la presenza di Salmonella o Listeria monocytogenes nel prodotto finito, ma che le conseguenze di essa, comunque rara in condizioni di tecnologia e autocontrollo adeguati, sono rese nulle, pressoché senza eccezioni, dalla cottura.

Quanto detto non vale, però, per i microrganismi termoresistenti (come Clostridi e Bacilli) e per le muffe (e loro metaboliti), in grado di sopravvivere al trattamento termico della cottura.

Se microrganismi come clostridi e bacilli possono essere controllati in maniera relativamente semplice (con il ricorso ad ambiente in grado di contrastarne la vitalità, ossia in presenza di ossigeno) il problema delle muffe è indubbiamente più complesso. La presenza di sostanze polverulente in un pastificio è circostanza quasi inevitabile, se non si ricorre ad accorgimenti nelle pulizie che permettano l’aspirazione di farina, sfridi e tutto ciò che può dare nutrimento e riparo alle muffe. Queste, in presenza di condensa, possono svilupparsi e formare colonie tanto estese da poter essere visibili ad occhio nudo. La formazione di condensa, specialmente con la chiusura delle confezioni ancora calde, è uno degli errori commessi più di frequente da operatori non avveduti. Il problema delle muffe nelle confezioni, quando visibile, è sicuramente fastidioso ma può essere risolto facilmente, eliminando la confezione interessata. Ben più grave è una presenza microscopica, di difficile individuazione, con la possibile formazione di aflatossine, che i ceppi presenti sulla farina sono spesso in grado di produrre. Le micotossine, di cui fanno parte le aflatossine, hanno la caratteristica di essere termoresistenti e quindi, se presenti, resistono alla cottura casalinga.

Non è però il caso di creare eccessivo allarmismo, le muffe anche se potenzialmente tossinogene, generalmente non si trovano nelle condizioni di originare le pericolose tossine. La consapevolezza del rischio, poi, aiuterà ad attuare responsabilmente tutte quelle procedure che contribuiranno a ridurre al minimo la presenza di muffe e la conseguente formazione di sostanze indesiderate.

Il rischio di ricontaminazione

Il prodotto finito, anche dopo la sua cottura, può andare incontro a ricontaminazioni, che possono portare a tossinfezioni. Le maggiori cause di tossinfezione alimentare sono rappresentate dal raffreddamento inadeguato del prodotto (nel 46% dei casi), il tempo superiore ad un giorno fra la preparazione e il consumo dell’alimento (per il 21%), dalla trasmissione di malattie da parte di persone portatrici che entrano in contatto con alimenti già cotti (per il 20%). Si tratta di comportamenti che originano da inconsapevolezza della conseguenza di azioni scorrette e tecnicamente risolvibili. L’azione correttiva è di tipo preventivo, non potendosi fare altro che formare adeguatamente sia gli operatori del settore alimentare per evitare ricontaminazioni su materie prime di provata affidabilità, sia i consumatori finali per non vanificare nelle mura domestiche tutte gli accorgimenti che il pastaio capace e responsabile adotta al fine di realizzare un prodotto sano e di valore, sia dal punto di vista tecnologico che qualitativo.

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