Effetto Covid, sulle paste pesa il fermo Horeca e il rischio frenata dell’export

12 Maggio 2020 Off Di Pastaria

Ma è boom di vendite nella Gdo, con incrementi a doppia cifra che ribaltano di netto la tendenza negativa del 2019.

A cura del Centro studi economici Pastaria

La pasta torna protagonista nel carrello degli italiani. L’effetto pandemia da Coronavirus ha fatto da propulsore alle vendite degli alimenti “da dispensa”, lasciando aumenti a doppia cifra nei mesi di marzo e aprile anche per il prodotto simbolo del made in Italy.

Si può affermare che, nonostante le difficoltà legate alla chiusura di ristoranti, bar e caffetterie, che rappresentano il core business del canale Horeca, le paste hanno potuto almeno in parte compensare le perdite di fatturato nel “fuori casa” determinate dalle misure di lockdown, grazie a una significativa accelerazione delle vendite nella grande distribuzione organizzata e nel piccolo dettaglio alimentare, che con la crisi ha conosciuto una fase di significativo rilancio.

Più luci che ombre? Difficile tirare le somme, per lo meno in questa fase di graduale approccio alla “nuova normalità”, dal momento che in ballo ci sono anche le esportazioni, componente non secondaria per tutto l’alimentare made in Italy.

All’estero le paste, che rientrano tra i prodotti più export-oriented insieme al vino, muovono oltre metà del fatturato, ma alle condizioni attuali, con le catene logistiche a mezzo regime in diversi paesi (le paste italiane raggiungono quasi 200 destinazioni), la macchina dell’export potrebbe oggettivamente accusare qualche rallentamento.

C’è poi l’aspetto produttivo, che tocca molto da vicino comparti industriali, per esempio quello della meccanica, che hanno optato per la delocalizzazione, ma che oggi riconoscono le difficoltà nel continuare a gestire filiere molto lunghe con pezzi di produzione sparsi ai quatto angoli del Mondo. Un aspetto che il sistema pastario affronta con maggiore serenità, dal momento che tutti i principali player del settore hanno tenuto i cicli produttivi in Italia e investito in stabilimenti all’estero prevalentemente per rafforzare la presenza in mercati chiave come gli Stati Uniti.

Certo è che, seppure con maggiori margini di sicurezza rispetto ad altri comparti produttivi, l’intera manifattura alimentare non è esente da rischi. Al contrario, le implicazioni della pandemia e della crisi economica rendono incerto il futuro per 6 imprese su 10.

Un’indagine del Dipartimento di economia aziendale dell’Università Roma Tre, commissionata dall’Unione Italiana Food, l’associazione nata dalla fusione di AIDEPI e AIIPA (450 imprese alimentari per 20 settori merceologici, compresi pasta, caffè e conserve vegetali), rivela che il 59% degli intervistati, su un campione di 120 aziende alimentari, si attende quest’anno un calo sia della produzione sia del volume d’affari. Preoccupano anche gli effetti di lungo termine della pandemia di Covid-19 che per il 61% del campione avrà un impatto “elevato” o “molto elevato” in futuro. Diversi gli ambiti interessati. La gestione finanziaria e le carenze di liquidità rappresentano attualmente i principali fattori nevralgici. Ma elementi di fragilità si ravvisano anche nelle fasi della logistica e di riflesso nell’interscambio con l’estero, con rischi potenziali inoltre negli approvvigionamenti delle materie prime alimentari.

Per Italmopa, l’associazione dell’industria molitoria, malgrado l’incremento del consumo di farina per uso domestico, il settore sta registrando, dall’inizio dell’emergenza Covid-19, una contrazione particolarmente significativa, e comunque senza precedenti, dei volumi di vendita complessivi, scesi del 25% su base annua. Determinanti il crollo della richiesta di ristoranti, pizzerie e pasticcerie e la riduzione, seppure contenuta, della domanda da parte della panificazione e dell’industria dolciaria. L’evidenza più preoccupante è tuttavia il pesante dietro front delle esportazioni, dopo un trend positivo protrattosi per oltre dieci anni. Un fattore che, per analogia, potrebbe mettere in seria difficoltà anche le paste che, all’estero, negli ultimi dodici mesi hanno sperimentato un progresso di oltre il 7% sfiorando un valore di 2,6 miliardi di euro, massimo di sempre. Stessa dinamica se si guarda alle movimentazioni reali, con un record di 2,2 milioni di tonnellate esportate tra gennaio e dicembre dell’anno scorso, in crescita del 6,2% su 2018.

Sul mercato interno, l’effetto stock, come accennato, ha dato un forte impulso alle vendite di conserve, paste, riso e biscotti. I dati Nielsen, relativamente alle paste secche, segnalano a fine marzo un aumento del 19,3% su base annua, in netta controtendenza con il dato negativo delle vendite del 2019.

Più attenuata la dinamica delle paste fresche, che hanno però accelerato la crescita rispetto alla performance comunque positiva del 2019.

Significativo anche il cambio di rotta dei prezzi al consumo, con il sottoindice ISTAT del reparto paste che segnala a marzo un rincaro annuo dell’1,6%, a fronte di riduzioni dello 0,3% di febbraio e dello 0,6% di inizio anno.