Le regole del buon pastaio
5 Settembre 2007In questo primo articolo dedicato alla legislazione proponiamo uno sguardo d’insieme sulle norme giuridiche in tema di produzione e commercializzazione di paste alimentari. Ad approfondimenti e aggiornamenti legislativi che interessino il produttore di pasta sarà dedicato ampio spazio su ciascuno dei prossimi numeri di Pastaria.
di Lino Vicini
In questo primo articolo dedicato alla legislazione e alla giurisprudenza dei prodotti alimentari ed in particolare ai problemi relativi alla produzione e commercializzazione dei diversi tipi di paste, tenteremo di fornire “le regole del buon pastaio”, partendo dall’individuazione delle principali norme giuridiche che devono essere rispettate nella produzione di tale tipo di alimenti.
Tali regole possono dividersi in modo schematico e semplificato a seconda della loro origine in due grandi categorie: da una parte le disposizioni introdotte dal legislatore italiano e stratificatesi nel corso degli anni; dall’altra le norme di creazione comunitaria che assumono un ruolo ed una importanza crescenti con l’evolversi dell’integrazione europea.
Giova ricordare che le disposizioni comunitarie si caratterizzano per la posizione gerarchicamente sovraordinata che assumono rispetto alle norme nazionali, ciò significa, in estrema sintesi, che in caso di contrasto tra norme europee e italiane le seconde devono essere disapplicate a vantaggio delle prime.
Mentre la conoscenza delle norme nazionali è più diffusa, non sempre è noto il funzionamento delle norme europee, per esempio si tendono a confondere le principali fonti del diritto comunitario, regolamenti e direttive.
I regolamenti sono atti a portata generale, obbligatori e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri dell’Unione europea; viceversa le direttive vincolano lo Stato membro (per esempio l’Italia) cui sono rivolte per quanto riguarda il risultato da raggiungere, senza incidere sulla competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi necessari a raggiungere detto risultato.
Dunque le direttive non hanno efficacia diretta nei confronti dei singoli cittadini e non producono diritti ed obblighi che i giudici nazionali devono fare osservare.
Le direttive devono essere attuate o recepite e ciò significa che ogni Stato membro deve emanare una norma corrispondente, quella sì vincolante per tutti i cittadini di quello Stato.
Per fare un esempio concreto mentre il regolamento n. 178 del 2002 ha creato direttamente nuovi obblighi in tema di rintracciabilità degli alimenti, la direttiva n. 89 del 2003, cosiddetta “allergeni”, ha modificato la norma italiana in tema di etichettatura solo a seguito del suo recepimento con un decreto legislativo emanato dal governo italiano sulla base di una legge delega.
Ne consegue che il diritto alimentare negli ultimi anni è stato caratterizzato da una massiccia presenza di regolamenti comunitari i quali si propongono di uniformare a livello europeo numerosi aspetti della produzione e sicurezza degli alimenti.
Il più celebre e citato dei menzionati testi normativi è senza dubbio il regolamento n. 178/02/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare.
Il regolamento n. 178 del 2002 costituisce la fonte primaria del diritto alimentare europeo moderno e deve essere tenuto ben presente nell’applicazione di tutte le altre diverse disposizioni particolari.
Il regolamento prevede infatti molte definizioni e concetti generali e verrà spesso ripreso nei prossimi commenti per chiarire possibili dubbi e problemi interpretativi.
A fianco delle regole comunitarie, come detto sempre più importanti e vincolanti per tutti gli operatori, si pongono le fonti del diritto nazionali e per quanto ci riguarda le leggi italiane.
Un aspetto molto importante da tenere in considerazione nella materia del diritto alimentare per la soluzione dei dubbi è il rapporto di interconnessione tra le disposizioni comunitarie e quelle nazionali.
Come anticipato sopra le norme italiane devono essere obbligatoriamente rispettate per le produzioni di alimenti che vengono realizzate nel nostro paese, ma possono essere disapplicate se si pongono in contrasto con le disposizioni contenute in fonti comunitarie di rango superiore come avviene con i sopra citati regolamenti.
Le disposizioni nazionali in generale infatti sono ritenute lecite nella misura in cui non si pongano in contrasto con le disposizioni del diritto europeo o non diano luogo ad effetti distorsivi tra i diversi operatori commerciali dei paesi membri.
È comprensibile che in questa situazione di apparente caos coloro che quotidianamente devono applicare le norme si sentano a disagio, tuttavia, come vedremo, l’applicazione di alcuni principi guida è sufficiente per dipanare le situazioni più complesse.
Un esempio tratto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale riguardante lo specifico di paste alimentari è illuminante.
Il legale rappresentante di un pastificio era stato sanzionato per aver prodotto e commercializzato pasta alimentare secca denominata «specialità gastronomica alle erbe aromatiche» contenente ingredienti non consentiti (aglio e prezzemolo) dalle allora vigenti disposizioni di legge.
Il pastaio aveva proposto quindi rituale opposizione all’ordinanza ingiunzione davanti al pretore di Pordenone.
Lo stesso pretore aveva, dal canto suo, sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 28, 30, 31 e 36 della legge 580 del 1967 sulla pasta per presunta violazione agli artt. 3 (principio di uguaglianza) e 41 comma 1 (principio di libera iniziativa economica) della Costituzione.
Secondo il ragionamento del giudice la pasta cui si riferisce la contestazione avrebbe potuto essere legittimamente importata da uno degli Stati membri della Comunità ovvero prodotta per l’esportazione, mentre non avrebbe potuto essere prodotta da un imprenditore italiano per il mercato interno. Tale concreta situazione si sarebbe posta in contrasto con l’art. 3 della Costituzione per evidente irragionevole disparità di trattamento tra produttori del medesimo alimento a seconda del luogo in cui lo stesso era destinato ad essere commercializzato.
La Corte costituzionale italiana (con la sentenza n. 443 del 30 dicembre 1997) ha dunque dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30 della legge 4 luglio 1967 n. 580 («disciplina per la lavorazione e commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari») per violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione.
La Consulta ha risolto la questione prendendo le mosse dal fondamentale principio di libera circolazione delle merci, secondo cui non è consentito ad uno Stato membro applicare una normativa nazionale che limiti l’importazione di merci prodotte e messe in commercio secondo le leggi dello stato di provenienza.
Sulla base di tale principio del diritto comunitario lo Stato italiano non aveva alcun potere di porre ostacoli alla produzione in uno Stato membro di paste alimentari, destinate al consumo in Italia, contenenti ingredienti diversi da quelli autorizzati dalla legge nazionale ma ammessi dal diritto comunitario.
Nello scontro tra le diverse disposizioni di legge, da un lato quelle contenute nella normativa italiana che si proponeva lo scopo di proteggere le caratteristiche qualitative delle produzioni tradizionali nazionali, e dall’altro lato quelle comunitarie, tese a favorire al massimo la libera circolazione delle merci all’interno di un unico grande mercato europeo, deve necessariamente prevalere il secondo scopo con conseguente adeguamento del diritto interno ai principi del trattato comunitario.
La Corte ha pertanto riconosciuto in modo chiaro e deciso la supremazia del diritto comunitario rispetto al diritto nazionale.
La circostanza più curiosa e paradossale della vicenda è la seguente: se la stessa domanda fosse stata posta alla Corte di giustizia europea questa avrebbe, con ogni probabilità, semplicemente rilevato che la norma nazionale era indifferente per il diritto comunitario in quanto non creava alcun intralcio ai produttori di pasta degli altri Stati.
Infatti la disposizione della legge italiana del 1967 non avrebbe mai potuto essere applicata dallo Stato italiano ai produttori di pasta degli altri paesi europei, con conseguente formale rispetto della libertà di circolazione delle merci all’interno del mercato comune.
I produttori del Bel Paese si sarebbero trovati in una posizione di discriminazione rispetto ai concorrenti europei essendo tenuti a rispettare le più restrittive norme nazionali.
Inoltre i pastai del nostro paese non avrebbero potuto lamentare tale situazione davanti al giudice comunitario, ma esclusivamente avanti al giudice italiano, unico competente a valutare la conformità costituzionale della disposizione di legge ordinarie.
Dopo questa doverosa premessa sul diritto comunitario ed i suoi rapporti con il diritto nazionale si deve osservare che il legislatore italiano ha avuto modo nel corso del tempo di occuparsi in modo dettagliato dei prodotti alimentari sia con l’emanazione di normative specifiche per determinati prodotti sia con leggi più generali applicabili a tutti i prodotti indistintamente.
La fondamentale legge 30 aprile 1962, n. 283, in materia di «disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande» costituisce la “legge quadro” in tema di alimenti e contiene anche le disposizioni incriminatrici di cui agli artt. 5, 6 e 12.
Con particolare riferimento al settore della pasta si devono ricordare i due testi normativi principali che si sono succeduti ed integrati a partire dalla fine degli anni Sessanta dello scorso secolo.
Il primo è costituito dalla legge 4 luglio 1967, n. 580, già citata in precedenza, che si è occupata di disciplinare non solo le paste alimentari ma anche la lavorazione e commercio dei cereali, degli sfarinati e del pane.
Il decreto del presidente della Repubblica 9 febbraio 2001, n. 187, intitolato «Regolamento per la revisione della normativa sulla produzione e commercializzazione di sfarinati e paste alimentari a norma dell’art. 50 della legge 22 febbraio 1994 n. 146» ha sostituito e novato in gran parte la normativa del 1967, tuttavia non abrogandola nella sua totalità.
All’attenzione dell’operatore inoltre si segnalano le disposizioni contenute nel codice penale in tema di alimenti.
Il codice prevede al libro II dei delitti nel titolo VI che punisce i reati contro l’incolumità pubblica e nel titolo VIII relativo i reati contro l’industria e il commercio.
Nel primo insieme di reati si segnalano i seguenti delitti: l’avvelenamento di sostanze alimentari (art. 439 c.p.), l’adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari (art. 440 c.p.), il commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate (art. 442 c.p.), il commercio di sostanze alimentari nocive (art. 444 c.p.).
Viceversa nel secondo tipo di condotte penalmente rilevanti ritroviamo il delitto di frode in commercio (art. 515 c.p.), la vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine (art. 516 c.p.), la vendita di prodotti industriali con segni mendaci (art. 517 c.p.).
Le sanzioni previste nella legge n. 283 del 1962 e codice penale trovano concreta applicazione anche nel caso di produzione di pasta.
Nei prossimi numeri di Pastaria saranno esposti i casi più ricorrenti di procedimenti penali risolti dai tribunali italiani e saranno affrontati in dettaglio i suggerimenti più opportuni al fine di evitare inutili contestazioni e possibili sequestri di prodotti e strutture produttive.
La materia che ci occupa si caratterizza indubbiamente per tecnicismo e difficoltà dovute non unicamente alla complessità dell’ordinamento e alla molteplicità delle fonti comunitarie e nazionali, ma anche per la mancanza in parte degli operatori di una approfondita conoscenza delle regole principali e fondamentali per il buon operare.
Scopo principale dei prossimi articoli in tema di legislazione sarà quello di colmare le lacune ed esporre nel modo più semplice e comprensibile le varie disposizioni che interessano il produttore e venditore di pasta così da renderlo edotto non solo dei suoi doveri ma anche dei diritti, che sono molti in questo campo.
A tale proposito si può richiamare la celeberrima definizione di diritto attribuita ad Ulpiano contenuta nel Digesto secondo cui l’attività umana deve ridursi al rispetto di tre principi fondamentali: «Honeste vivere, neminem ledere, suum cuique tribuere», ossia «vivere onestamente, non ledere nessuno e dare ad ognuno ciò che gli spetta».
Se il diritto è per definizione l’arte del buono e del giusto, applicare tale regola alla produzione del più celebre alimento italiano non può che produrre un ottimo risultato.
Leggi l’articolo nella rivista
Pastaria 01 (3,4 MiB, 7.402 hits)