L’evoluzione del pensiero tecnico e giuridico in tema di sicurezza degli alimenti

15 Settembre 2007 0 Di Pastaria

La sicurezza degli alimenti è un tema di particolare importanza per gli operatori del settore alimentare e, come tale, troverà ampio nei prossimi numeri di Pastaria. Questo articolo introduce all’argomento ripercorrendo le principali tappe dell’evoluzione del concetto di sicurezza alimentare dal punto di vista tecnico e giuridico.

di Giuseppe Pumelli

Nei confronti degli alimenti l’uomo solo in tempi relativamente recenti ha sviluppato una certa sfiducia, dopo avere preso coscienza del fatto che l’insorgenza di determinate malattie era collegato all’uso di alimenti che inspiegabilmente diventavano pericolosi pur non presentando niente di anomalo rispetto a quelli normalmente utilizzati. Da sempre, infatti, si temeva che un alimento potesse essere avvelenato o che il suo consumo eccessivo potesse nuocere alla salute, ma concepire che un alimento potesse diventare nocivo per l’azione di batteri o residui di sostanze chimiche altrove utilizzate era impensabile. Solo dopo il 1860, grazie alle geniali osservazioni di Pasteur, si prende coscienza che un normale alimento, se contaminato da determinati batteri o parassiti, anche senza un’azione fraudolenta dell’uomo, può diventare addirittura letale. Grazie a questa consapevolezza, nasce un filone legislativo e tecnico che rivoluzione completamente il rapporto uomo/cibo, attraverso mutamenti graduali nei quali il pensiero scientifico condiziona dapprima il legislatore e successivamente l’opinione pubblica.
Ovviamente, la diffidenza verso le nuove teorie scientifiche, viste sempre con sospetto e la scarsità dei mezzi d’informazione dei tempi, le norme igieniche stentano ad essere accettate nella popolazione, così come oggi, ribaltando il pensiero di allora, si richiede sovente un eccesso immotivato di precauzioni e si nutre una repulsione immotivata nei confronti degli alimenti ad elevato contenuto tecnologico. La presa di conoscenza di questi pericoli, porta, sulla base del pensiero scientifico di allora, all’emanazione delle prime norme contro il pericolo proveniente dagli alimenti. L’unità d’Italia, avvenuta nel 1861, vedi il suo primo codice penale con norme severe nei confronti dell’adulterazione degli alimenti e anche una punizione per coloro che detenevano alimenti non adulterati né contraffatti, ma ugualmente pericolosi per la salute pubblica; ovviamente queste norme funzionavano solo nei confronti delle situazioni di pericolo allora individuate.

Per il rispetto dei disposti ci si affidava solo alla serietà del produttore, venditore, ecc., e l’eventuale disonestà veniva alla luce solo quando si verificava un episodio di malattia dovuto all’ingestione di questi alimenti nocivi. Mancava, in altre parole, un controllo preventivo.

Bisogna attendere la fine degli anni ’20 per trovare i primi disposti che cercano (e con successo) di impedire il manifestarsi degli episodi di tossinfezioni alimentari. Queste norme sono costituite dai disposti che obbligano la macellazione dei grandi animali nei macelli pubblici alla presenza del veterinario e dall’istituzione delle centrali del latte. È ovvio, in questo contesto culturale, che non vengono presi in considerazione né i piccoli animali, ne gli ortofrutticoli, né i vari prodotti del grano (pane e pasta). Infatti, l’incidenza della presenza di agenti nocivi in questi alimenti è estremamente bassa e solo il grano contaminato dalla segale cornuta era escluso dal mercato.

Per quanto riguarda l’iter commerciale dopo l’abbattimento dell’animale o la pastorizzazione del latte, viene istituito un blando controllo definito “vigilanza”, peraltro tendente ad accertare che gli alimenti non fossero ammuffiti o in stato di putrefazione, poiché questa era la cultura di allora.

La presenza di sostanze estranee e l’uso degli additivi erano consentiti, salvo che vi fosse conoscenza scientifica sul fatto che determinate dosi erano nocive in concreto ed immediatamente per la singola assunzione.

Bisogna attendere gli anni ’60, perché il pensiero scientifico progredisca e ci si indirizzi maggiormente verso una più rigida azione preventiva, intuendo che è vantaggio di tutti agire prima che si manifestino gli episodi spiacevoli.

La spinta verso questo nuovo indirizzo viene data da una serie di fattori concomitanti, fra i quali il boom economico che sposta i consumi verso alimenti prodotti in zone lontane da quelle di produzione, il progredire dell’industria chimica, la quale, dovendo offrire alimenti più sicuri e di più lunga durata, impiega massicciamente nuove sostanze e, infine, la diffidenza verso queste nuove sostanze che, fatto nuovo, potevano manifestare la loro azione nociva dopo tempi lunghi rispetto all’ingestione e che agivano anche per accumulo, ossia finché l’individuo attraverso ripetute ingestioni non arrivava alla dose tossica, erano apparentemente innocue.

Il fatto che desta un grande allarme sociale è quello del collegamento con il talidomide e la nascita di bambini down. Il talidomide era un blando tranquillante, considerato estremamente sicuro e di largo uso in Svezia. È facile immaginare il clamore che solleva nel mondo quando viene scoperto che aveva un’azione teratogena nei confronti della prole.

Le sostanze chimiche vengono tutte associate a danni futuri, tutt’altro che dimostrabili e si dimentica che senza di esse molti alimenti non sarebbero conservabili o sarebbero assai più pericolosi.

Sotto la spinta dell’opinione pubblica è l’Italia ad essere la prima a proibire nel 1961 l’uso degli estrogeni negli animali d’allevamento, proibizione che verrà recepita dalla Comunità europea solo nel 1992. Inoltre nasce il concetto di prevenzione, con l’emanazione della legge 30 aprile 1962 n. 283.

Questa norma pone una serie di divieti nei confronti degli alimenti che non sono stati correttamente manipolati basandosi sul presupposto che non è possibile controllare ogni singolo alimento prodotto, ma è possibile controllare la serietà del produttore attraverso una serie di parametri che, se violati, aumentano le probabilità che l’alimento possa contenere elementi di pericolo, indipendentemente dal fatto che l’alimento effettivamente analizzato risultasse innocuo. Si introducono, quindi, l’obbligo dell’autorizzazione sanitaria ed una serie di parametri igienici da rispettare in ogni fase produttiva.

Nei confronti degli additivi si introduce un nuovo concetto, ossia quello che tutti gli additivi sono tossici e quindi vietati, salvo quelli autorizzati esplicitamente in quell’alimento e nelle dosi indicate. Ovviamente, vengono autorizzati solo quelli sicuramente innocui ed esclusivamente in quegli alimenti nei quali vi è un significato tecnologico. Non deve stupire, quindi, se, per esempio, lo stesso additivo in un prodotto è considerato innocuo e lecito ed in un altro vietato. Infine, l’autorizzazione all’uso viene subordinata alla certezza dell’innocuità alla luce delle attuali conoscenze e sottoposta a revisione annuale per far fronte alle future ipotesi scientifiche.

Il fatto che l’alimento prodotto in modo non conforme, ripeto, sia sano e commestibile non fa venir meno l’obbligo di sequestro e distruzione da parte delle autorità di controllo. Si introduce, di fatto, il principio di precauzione, anche se in modo velato e non completo.

Questa norma suscita molte perplessità e resistenze, poiché crea notevoli difficoltà a chi produce, oltre ad un notevole aumento dei costi. Come conseguenza dobbiamo aspettare fino al 1980 per vedere emanato il suo regolamento di applicazione (D.P.R. 327/80).

In questi anni comincia anche una massiccia influenza della Comunità europea, la quale sposta ancora verso sistemi più rigidi il controllo degli alimenti, basandosi su concetti in parte nuovi, in parte derivati già dalla nostra normativa che, per alcuni versi, era indubbiamente fra le più avanzate dei Paesi europei.

Sulla spinta sempre di un’opinione pubblica ben guidata da determinate campagne d’informazione, si tende ad avere una visione più globale del problema sicurezza. Infatti, fino a questo momento il problema era rivolto alla singola fase, superata la quale quelle precedenti o posteriori non erano più collegabili. Inoltre il controllo era sempre e soltanto dell’autorità sanitaria, controllo sempre più arduo a causa della libera circolazione delle merci in una comunità sempre più vasta e le cui norme non sempre erano correttamente armonizzate.

Nasce quindi, negli anni ’90, il concetto della filiera produttiva e dell’autocontrollo degli alimenti.

L’autocontrollo si rende necessario, si ripete, per sopperire alle oggettive difficoltà territoriali dell’autorità sanitaria. Infatti, attraverso gli accordi comunitari, il produttore viene dichiarato responsabile e perseguibile nei confronti della sua fase produttiva ovunque esso si trovi. In pratica non può più garantire sulla parola che ha realizzato correttamente il prodotto, ma anche fornirne prova concreta.

Il secondo punto, ossia il concetto della filiera produttiva, nasce dall’osservazione scientifica che è inutile la corretta lavorazione di una fase se la materia prima, per esempio, non aveva le caratteristiche richieste. È quindi necessario seguire l’iter totale dell’alimento dalla fase primaria fino al momento della consegna al consumatore. Da questo nasce il concetto della tracciabilità o rintracciabilità di un alimento. Anche questo aumenta la sicurezza. Il residuo del concetto nazionalistico, campagne pubblicitarie ben condotte ed, infine, la necessità di giustificare costi più elevati di determinati prodotti cosiddetti “di qualità” porta anche ad eccessi quali l’obbligo di indicare, in certi casi, la provenienza delle materie prime, quale indicazione di per sé di qualità.

Per concludere, in poco più di un secolo si è passati da un concetto di sicurezza basato solo sull’assenza di elementi nocivi in concreto in un alimento, ad un concetto di elevato livello di sicurezza basato sulle corrette pratiche produttive dalla fase primaria in poi, senza più considerare se realmente l’alimento sia effettivamente nocivo. Se da un lato, vi è un costo assai più elevato, con una distruzione di alimenti sicuramente innocui, dall’altro si riescono ad evitare quelle situazioni subdole nelle quali l’azione nociva non è diretta ed immediata, ma si manifesta dopo ingestioni prolungate e molto differita nel tempo.

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