Vendere la pasta italiana all’estero: il ruolo dell’export marketing

3 Marzo 2015 Off Di Pastaria

I produttori italiani di pasta sono alle prese con un mercato interno saturo e con la conseguente necessità, ineludibile per i più, di aprire o sviluppare gli sbocchi commerciali oltreconfine. In questo, l’export manager ricopre un ruolo di primaria importanza.

di Marino Rossi

Tutti gli attori del mercato della pasta hanno ben presenti alcuni dati fondamentali relativi a dimensioni e dinamiche della complessa realtà italiana.

Risulta perciò ormai risaputo il fatto che, se è vero che l’Italia resta la nazione con (di gran lunga) il maggior consumo pro-capite annuale di pasta, è altrettanto vero che da anni tale dato globale è in lenta ma continua diminuzione. In altre occasioni e in diverse sedi si è più volte discusso di quali siano i motivi di tale calo.

Si va dal ruolo delle diete e del cambiamento degli stili di vita (con un sempre minor bisogno calorico tipico dei paesi più avanzati), ai problemi di salute (celiachia, allergie, ecc.), all’avanzare di nuove tendenze gastronomiche (etnico, fusion, ecc.) frutto di globalizzazione e immigrazione, per non dire del cambiamento dell’importanza dei pasti (con quello di mezzogiorno sempre meno centrale).

Per questi ed altri motivi il mercato italiano della pasta va considerato per quello che è oggettivamente diventato: un mercato “saturo” in termini quantitativi globali, dove si può certo operare per diversificare e affinare meglio l’offerta, interpretare e anticipare nuovi bisogni e tendenze, usando insomma tutte le leve che il marketing ci offre.

Ma attendersi dinamiche significative delle quantità vendute appare un’illusione pericolosa.

Lo sanno molto bene infatti parecchi dei produttori italiani di pasta, che da tempo si sono attrezzati per operare con efficienza e redditività sui mercati esteri.

È appena il caso di rilevare che, se un’impostazione approssimativa e poco professionale delle attività commerciali relative al mercato italiano può determinare insuccessi e problemi, talvolta però parzialmente nascosti e compensati da una certa dose di intuizione e da una qualche conoscenza del mercato interno (o di alcuni suoi segmenti), operare sui mercati esteri senza strutture e professionalità di marketing adeguate può portare a fallimenti rovinosi.

Vendere in paesi stranieri implica sapersi muovere su tutti i fronti: conoscere innanzitutto le specificità dei mercati, i bisogni espressi e quelli latenti, i trend e le mode, le sensibilità e le culture degli acquirenti, la concorrenza e i canali di vendita, e così via: insomma occorre padroneggiare tutte le variabili che possono influenzare il successo commerciale.

Ma non basta: esistono problemi normativi, che, se sono relativamente ridotti all’interno dell’Unione Europea, assumono crescente rilevanza all’aumentare dell’”esoticità” dei mercati.

E le barriere linguistiche di certo non facilitano le attività aziendali.

Ne consegue che se un tipico produttore italiano di pasta vuole espandersi e/o contrastare eventuali cali del mercato nazionale, deve oggi necessariamente rivolgersi ai mercati esteri, ma non può farlo che adottando metodi e strumenti completamente professionali e all’altezza della sfida che lo attende.

Posto che, naturalmente, impostare e realizzare un’efficace strategia di export marketing necessita di risorse umane adeguate e totalmente dedicate, la prima attività riguarda la individuazione di tali risorse.

Può darsi che in azienda siano già presenti persone adatte a occuparsi di queste attività, magari al momento sottoutilizzate o impegnate in progetti in via di ultimazione, quindi rapidamente pronte ad essere indirizzate sull’export.

Più facilmente però, soprattutto in realtà di piccole dimensioni, occorrerà rivolgersi all’esterno, e quindi impostare una specifica ricerca di personale.

Prioritariamente andrà individuato il responsabile delle attività da perseguire, ovvero l’export manager, vera e propria posizione chiave per competere all’estero.

Il compito dell’export manager è occuparsi dello sviluppo, dal punto di vista della strategia commerciale, delle vendite dell’azienda nei paesi esteri in cui la stessa è presente con una propria rete di vendita o in cui prevede di crearla.

Si tratta di una professione che richiede molto tempo ed è assai impegnativa.

Molte piccole e medie aziende ancora non si rendono conto che l’export manager rappresenta “la marcia in più” per affrontare i mercati. Altre invece, per non dover corrispondere uno stipendio oneroso adeguato alla figura che lo richiede, preferiscono optare per neo-laureati che ovviamente, essendo dotati di poca o nessuna esperienza, valgono quanto il costo più limitato che determinano. [hidepost]

Ma è sensato ed efficace, solo per limitare i costi, entrare in un paese nuovo con una persona che non solo non ha l’esperienza necessaria nel mercato internazionale, ma che potrebbe arrecare notevoli danni all’immagine dell’azienda stessa?

Un export manager affidabile deve disporre infatti di doti di leadership e molta diplomazia sia con i clienti sia con gli interlocutori interni o i fornitori, in quanto deve saper gestire situazioni complesse ed eventuali conflitti tra i vari settori aziendali.

In un buon export manager non possono inoltre mancare nemmeno la flessibilità, necessaria per poter affrontare le più differenti situazioni e con i diversi approcci commerciali, nonché la disponibilità ad imparare sempre: la quantità di informazioni necessarie e la dinamicità dei mercati esigono infatti dall’export manager un costante aggiornamento.

Una dote ulteriore che non può mancare è la creatività, perché a volte non si deve solo vendere ma anche esplorare nuove opportunità commerciali in modi non convenzionali.

Come si intuisce, la professione di export manager è ad ampio spettro e oltrepassa il concetto di sola vendita all’estero.

Tale ruolo deve infatti rispondere all’esigenza di affiancare le strategie di inserimento di tipo commerciale nei mercati esteri con iniziative di maggiore consolidamento della presenza in loco, operando inoltre in più paesi con un approccio “globale” mirato a creare legami strategici ed operativi tra le iniziative realizzate nei diversi mercati.

Le aziende hanno necessità di poter contare su risorse che sappiano adattarsi a mercati in notevole cambiamento e capaci di reagire in tempi rapidi alle richieste che arrivano dai consumatori.

Ovviamente è indispensabile un’ottima conoscenza della lingua inglese, ma ormai essa va supportata almeno da una seconda lingua.

In conclusione l’export manager deve disporre di autonomia e capacità di analisi delle realtà in cui si opera. Non si tratta solo di saper vendere, ma di saper anche guidare l’azienda e le strutture di marketing nella giusta direzione, cogliendo i segnali del mercato e dando ad essi una chiave di lettura corretta, che possa portare ad anticipare i concorrenti.

Cerchiamo di esaminare in concreto i compiti di un export manager.

Egli coordina le attività internazionali dell’azienda, in particolare l’ingresso e l’affermazione dei suoi prodotti in nuovi mercati.

L’export manager ha il compito di scegliere nuovi potenziali mercati esteri e di elaborare le strategie più efficaci per l’ingresso e il consolidamento della presenza aziendale nei paesi individuati.

Definisce inoltre le linee d’azione in base alle direttive della politica export fissate dalla direzione aziendale, identifica e seleziona le principali opportunità di business, programma e coordina il piano di promozione sul mercato internazionale.

Si occupa di progettare e organizzare la rete di distribuzione del prodotto nel paese estero, stipula e intrattiene accordi commerciali e istituzionali con partner locali (imprenditori, uffici commerciali, operatori stranieri del settore, assicurazioni, compagnie di trasporto, banche, ecc.).

Interpreta i movimenti del mercato mondiale, si relaziona con le strutture e con i soggetti presenti sugli scenari internazionali, con una notevole capacità di adattamento alle diverse realtà culturali con cui viene in contatto.

Le conoscenze necessarie sono quindi ampie: l’export manager ha una buona cultura generale, deve conoscere i principali strumenti telematici e informatici, le strategie di marketing, le tecniche di transazione e negoziazione, le formule assicurative, le procedure bancarie e contrattualistiche, le problematiche legate al trasporto.

Le limitate risorse a disposizione dei numerosi piccoli e medi produttori italiani di pasta non consentono l’organizzazione di un ufficio estero strutturato e complesso come quello delle grandi aziende: si rende pertanto necessario affidarsi ad una figura professionale che racchiuda in sé tutte le competenze necessarie a gestire e presidiare un processo di internazionalizzazione.

Siccome però reperire un professionista di buon livello non è facile, e il relativo esborso economico è comunque rilevante, può essere consigliabile adottare una soluzione che da qualche tempo sta diffondendosi, cioè l’outsourcing dell’export marketing in regime di temporary management: in sostanza si “affitta” un esperto del settore da una apposita società di servizi.

Il manager in questione interviene nell’azienda per svolgere la mansione affidatagli, seguendo tutte le fasi del processo, sino ad arrivare alla creazione, gestione e coordinamento di una rete di vendita che garantisca all’impresa un’adeguata copertura dei mercati.

Se affiancato da personale interno, terminato il suo compito potrà lasciare l’azienda avendo trasferito esperienza e competenze atte a poter proseguire autonomamente.

Qualunque sia l’approccio scelto, l’export marketing della pasta non può essere trascurato. [/hidepost]

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