Rapporto Coop, prove di rilancio per il food & beverage
4 Marzo 2016Avanti adagio nel 2015 i consumi delle famiglie, ma cambiano carrello e stili alimentari. Paste: bene le fresche, insieme al pane restano i prodotti irrinunciabili per gli italiani.
a cura del Centro studi economici Pastaria
Le porzioni, almeno quelle, non sono cambiate. Con una media pro capite di 2,8 chilogrammi al giorno le quantità di cibo in Italia restano grosso modo le stesse degli anni Settanta. Ma è profondamente mutata la dieta alimentare e più estesamente sono cambiate la composizione e le tipologie di consumo.
A fornire un interessante spaccato sul nuovo modo di fare la spesa degli italiani è il Rapporto Coop 2015 Consumi e Distribuzione.
Gli stili emergenti – spiegano gli analisti – sembrano in qualche modo sintetizzare un approccio “wellness-oriented” e in qualche modo innovativo, sintomatico di un’ambizione ormai diffusa allo “star bene”, ma in un senso questa volta meno edonistico rispetto a trent’anni fa. E a guardare i carrelli non sorprende che rientrino, ormai con una certa frequenza, prodotti a base di soia, alimenti gluten free o integratori dietetici.
I macro numeri rivelano che negli anni della crisi economica, a partire cioè dalla Grande recessione del 2008-2009, i consumi alimentari degli italiani hanno sperimentato, fino al 2014, una fase di significativa e reiterata flessione, che nell’anno appena concluso sembra essersi per la prima volta arrestata.
Prima della crisi – osservano gli analisti – non si erano mai registrate, storicamente, significative fluttuazioni negative della spesa alimentare. Si trattava di fatto di una componente quasi obbligata o in qualche modo incomprimibile, poco sensibile alle vicissitudini del ciclo economico e sempre in moderata espansione.
La crisi ha invece determinato per la prima volta profonde modificazioni nelle abitudini di consumo, cambiando il mix dei prodotti acquistati, accrescendo l’attenzione dei consumatori alla convenienza economica e comportando in taluni casi rinunce, espressione di una sorta di serenità perduta.
Basti al riguardo considerare che il valore delle strategie di risparmio delle famiglie italiane è stimato in oltre 5 miliardi di euro negli ultimi tre anni. Un ammontare di risorse considerevole che ha sottratto diversi punti percentuali al giro d’affari dalla distribuzione moderna.
In questo quadro generale, il 2015 segna tuttavia un’importante inversione di tendenza, che si coglie nella progressiva normalizzazione di diversi indicatori. Si attenua la spasmodica ricerca del risparmio da parte del consumatore, scende, per la prima volta da un decennio, seppure in misura frazionale, la pressione promozionale, che dal 29,3% del 2014 si riposiziona al 29% nel 2015 (dato ancora parziale, ndr), si ferma la crescita delle private label, dei prodotti cioè a marchio del distributore, con un implicito vantaggio per i brand dei produttori.
Da rilevare che la svolta quantitativa del 2015, certificata da una crescita, nei primi dieci mesi dell’anno, dell’1,4% delle vendite al dettaglio nel comparto alimentare (dato Istat più aggiornato), che si riduce però a un più 0,3% a volume, non ha comunque cambiato l’approccio alla spesa, divenuto stabilmente più maturo e consapevole, attento agli sprechi, informato soprattutto sulla qualità delle materie prime impiegate e sui processi di trasformazione, salutista e in qualche modo ambientalista. Processi, tra l’altro, favoriti da una maggiore circolazione delle informazioni, grazie soprattutto alla progressiva diffusione delle tecnologie digitali. [hidepost]
Come evidenzia il Rapporto, l’analisi dei “top & bottom performer” del largo consumo confezionato, nell’ultimo anno, conferma queste tendenze. Tra le categorie presenti a scaffale, a sperimentare i maggiori tassi di crescita delle vendite, come accennato, sono i cibi e le bevande a base di soia, gli integratori dietetici e gli alimenti senza glutine. Tra i prodotti che invece archiviano i risultati più negativi rientrano i nettari e le bevande zuccherate. E anche l’alcool perde sensibilmente appeal, mentre avanzano specifiche categorie come il bio, l’etnico e il salutistico in generale.
Dai dati si evince, entrando in alcune specifiche, un arretramento di qualche intensità per il carrello “basic” (-1,7% nell’anno terminante a giugno 2015), in cui rientra anche la pasta, mentre si osserva, peraltro in misura più sostenuta rispetto al passato, una crescita per il segmento del lusso (+4,8%). All’insegna del progresso anche il raggruppamento che include i piatti pronti, che avanza adesso del 6,8%, un ritmo di crescita che mancava dal biennio 2010-2011.
Per quanto attiene alle paste, la generale attenzione alla qualità degli ingredienti e ai processi di lavorazione potrebbe favorire prodotti a più alto valore aggiunto come le paste fresche e/o ripiene e quelle di semola tradizionali del “top di gamma”. Non è un caso se nell’anno terminante a giugno 2015 i dati Nielsen sulle vendite nel canale della distribuzione moderna (super e ipermercati, libero servizio e discount) documentano una crescita del fatturato legato alle paste fresche del 4,4% su base annua (+3,7% a volume), contro un più modesto 1,3% di crescita-valore per l’aggregato pasta, riso e farine (-0,8% in termini di vendite fisiche).
Secondo il Rapporto Coop la pasta e il pane restano in ogni caso prodotti irrinunciabili: insieme agli altri a base di cereali (pizze, focacce, biscotti, fette biscottate, cracker) gli italiani ne mangiano più di 400 grammi al giorno. Un livello più basso rispetto agli anni ’60 (oltre mezzo chilo), ma pur sempre l’elemento centrale delle abitudini alimentari della Penisola.
I dati più recenti, basati sulle previsioni di Iri, indicano, per il largo consumo confezionato (comparto che non include lo sfuso con buona parte delle vendite di carni e salumi, ortofrutticoli, ittici e caseari), una chiusura del 2015 con una crescita del fatturato food & beverage del 2,5% (+1,7% a volume), ed un ulteriore 1,9% di avanzamento per il 2016 (+1,1%).
Sugli sviluppi del retail, resta l’overcapacity delle grandi superfici, nonostante la rete commerciale abbia subìto, a partire dal 2014, una graduale contrazione, non adeguata tuttavia a smaltire l’eccesso di capacità distributive.
Il punto vendita tradizionale – rileva il Rapporto Coop – rimarrà ancora a lungo centrale anche se dovrà progressivamente adattarsi allo sviluppo della multicanalità e dell’e-commerce.
Nell’alimentare le vendite web valgono oggi quasi 500 milioni di euro, meno dell’1% dei relativi consumi, ma le previsioni scontano uno scenario di crescita sostenuto, considerando tra l’altro che il più recente interesse di grossi player mondiali nel segmento grocery rappresenta un importante segnale per l’intero settore. [/hidepost]
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